RIABILITAZIONE E ATTIVITÀ FISICA DEI PAZIENTI ONCOLOGICI E NON; E LA SICUREZZA ALIMENTARE

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)


L’intenso programma dei Lunedì della Salute torinesi è sempre più ricco di proposte tematiche di interesse e utilità come, ad esempio, la “Riabilitazione del paziente oncologico è ormai una scelta”, trattato dalla prof.ssa Maria Pia Schieroni (nella foto) emerita Fisiatra della Città della Salute e della Scienza di Torino, come pure “Le nuove frontiere della sicurezza alimentare” a cura della prof.ssa Maria Caramelli, veterinaria e direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Il tema della prima relazione è di notevole impatto sociale e sempre più rispondente alla realtà, in quanto la riabilitazione fisica e psicologica del paziente oncologico è una attività che coinvolge quasi tutte le specialità cliniche. Ma cosa si intende per riabilitazione, più propriamente detta medicina fisica riabilitativa? «È un intervento sanitario – ha spiegato la relatrice – sia in ambito pubblico che privato, ed è rivolto a pazienti affetti da una patologia con conseguente deficit funzionale, intervenendo attraverso tecniche di rieducazione molto diversificate, ed eventualmente somministrazione di farmaci, a seconda dei casi da trattare. L’obiettivo del medico fisiatra che dà indicazioni all’operatore fisioterapista, dunque, è quello del recupero parziale o totale delle funzioni lese sia per causa organica che traumatica, e limitare il più possibile il deficit funzionale, sia esso fisico e/o psichico per il possibile reinserimento sociale del paziente». Ma quale la differenza tra medicina fisica riabilitativa e attività fisica? «L’attività fisica – ha precisato – è extra sanitaria con lo scopo di mantenere e potenziare le funzioni fisiche del soggetto relativamente ai suoi stili di vita: controllo del proprio peso corporeo, dieta equilibrata, astinenza dal fumo e dall’alcol, etc. L’attività riabilitativa termina quando è raggiunta la stabilità clinica del paziente con l’ottenimento del recupero funzionale parziale o totale. Ma anche la riabilitazione si avvale dell’attività fisica con l’intervento del fisiatra, e ciò nell’ottica di un programma di mantenimento delle condizioni generali». Gli interventi riabilitativi sono specifici in quanto indirizzati al trattamento delle parti sensitive e cognitive, ma anche indicati in pazienti oncologici, una “evoluzione” terapeutica che ha avuto il suo esordio dagli anni ’90, soprattutto nei casi di complicanze come il linfedema, patologia che si manifesta con il gonfiore dovuto all’accumulo di linfa nei tessuti, e può interessare un braccio (dopo chirurgia e/o radioterapia per tumore della mammella con interessamento dell’ascella) o una gamba, ad esempio dopo chirurgia e/o radioterapia ai linfonodi inguinali per tumori ginecologici: utero, cervice, ovaio o vulva. Questa terapia ha suscitato interesse e indicazioni in base a dati epidemiologici, considerando l’incidenza delle diagnosi, speso precoci di tumore; ma anche per la diminuzione dell’incidenza della mortalità e al tempo stesso della sopravvivenza a 5-10 anni e oltre, cui sono seguiti sensibili progressi terapeutici sempre più diversificati e mirati. «I fisiatri – ha aggiunto la relatrice – hanno aderito ad una modalità operativa conforme alla scientificità in campo oncologico, classificando le varie fasi della malattia e valutando i vari programmi per ogni tipo di tumore con la presa in carico dei singoli pazienti per i relativi trattamenti». È ormai consolidata l’efficacia dell’intervento riabilitativo in quanto potenzialmente previene le disabilità, evita la stabilizzazione dei deficit, ottimizza il recupero funzionale, migliora la tollerabilità dei trattamenti, riduce i tempi di degenza e favorisce il reinserimento sociale migliorando la qualità della vita, oltre a ridurre il rischio di complicanze come le recidive di un tumore e lo sviluppo di ulteriori neoplasie. La qualità è un concetto multidimensionale a cui sottendono tre dimensioni: quella fisica (capacità di svolgere gli atti quotidiani della vita), sociale (vita di relazione), e psicologica (relativamente all’aspetto emozionale). In buona sostanza la medicina riabilitativa come una sana attività fisica sono oggi un toccasana per molti pazienti, un nuovo scenario che fa di queste indicazioni il paradigma dell’espressione medica e comportamentale in tutte le loro manifestazioni… sia pur nei limiti concettuali e pratici.

 

Altrettanto meritevole il tema della seconda relazione a cominciare dalla domanda: perché le malattie sono in parte di origine alimentare? Si potrebbe rispondere per effetto della globalizzazione della catena alimentare, oltre a nuovi (ed impropri) stili di vita incluso un non adeguato modo di alimentarsi, mutamenti climatici, ed altro ancora. L’origine di determinate malattie su base alimentare statisticamente, come ha illustrato la prof.ssa Caramelli (nella foto), si riscontra in ambiente domestico (39%), in ristoranti e bar (24%), nelle mense (15%), in altre diverse realtà (9%) e in sedi non note (13%). Ciò richiama l’attenzione sui concetti di Food safety e Food Security, intendendo che per noi occidentali la sicurezza alimentare significa non ammalarsi proprio in ragione del fatto di alimentarsi con cibi provenienti da animali sani. «Le malattie trasmesse dagli alimenti “contaminati” – ha informato la relatrice – sono in sensibile aumento. Una delle cause è il batterio Listeria monocitosi presente nel suolo, nell’acqua e nella vegetazione, e può contaminare diversi alimenti come il latte, la verdura, i formaggi molli e la carne poco cotta; quest’ultima è appunto responsabile della listeriosi (tossinfezione alimentare). Questo esempio, come altri, dimostrano che oggi si ha sempre più l’esigenza di consumare cibi soggetti a lavorazioni meno appropriate, e ciò con poco denaro e poco investimento per le filiere alimentari sicure, con conseguenze patologiche soprattutto in soggetti… fragili». Molti alimenti provengono dai più diversi Paesi come ad esempio la frutta (importata soprattutto dall’Africa settentrionale); e in effetti nel nostro piatto c’é tutto il mondo alimentare, forse ad eccezione del pollo, mentre si consuma pesce che proviene non solo dal Mediterraneo ma anche da altri mari. «Il 70% delle malattie infettive emergenti nell’uomo – ha sottolineato la Caramelli – originano dagli animali, o di alimenti di origine animale, e va da sé che la salute degli animali è la salute dell’uomo. È quindi consigliabile, ad esempio, bollire (o ribollire) sempre determinati alimenti già preparati per evitare il botulino, un batterio anaerobico (che vive in assenza di ossigeno, ndr); inoltre dovrebbe essere noto che i cibi crudi non possono essere così sicuri come quelli sottoposti a trattamento tant’è che, ad esempio, la parassitosi è presente nella carne cruda (selvaggina) con il rischio di contrarre la trichinosi, una grave infezione che nelle forme più gravi colpisce cuore, polmoni e reni». Ma i rischi alimentari sono legati anche ai cibi più salutari, come l’epatite A causata dal consumo di frutti di bosco surgelati provenienti prevalentemente dalla Polonia e dalla Bulgaria. «Le allerte più importanti – ha concluso la relatrice – dovrebbero renderci più sicuri, ma anche il buon senso che consiste nell’attenersi alle buone regole di mirate informazioni prima del consumo, e nei dubbi si può interpellare la propria Asl o lo stesso Istituto Zooprofilattico». Forse la globalizzazione è un bene ma nello stesso tempo impone più razionalità quando si tratta di scegliere e consumare determinati cibi, senza dimenticare determinate situazioni ambientali in cui vivono certi animali.
Foto a cura di Giovanni Bresciani

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