LETTERA APERTA A CHI HA SCARSA COSCIENZA CIVICA ED UMANA VERSO I DISABILI

Dobbiamo essere tutti coinvolti non per mera solidarietà ma per quel

senso di uguaglianza che determina e giustifica l’esistenza dell’Essere

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Mi rivolgo a voi tutti amministratori pubblici e privati, responsabili e irresponsabili (direttamente o indirettamente), politici attivi e non, altruisti ed egoisti, etici e non etici per sottoporre alla vostra coscienza l’umanissima realtà dell’handicap, da ri-vedersi nell’ottica della cultura e del diritto. Anzitutto vi rammento che non esiste una storia sul problema degli handicappati come realtà sociale e giuridica, ma solo alcune fonti relative a periodi e civiltà diverse. Una carenza culturale per il vero un po’ di tutti, ma in particolare di voi politici e in taluni casi anche di voi operatori della P.A., che richiede per questo un maggior approfondimento non solo della terminologia, ma anche della concettualità, dei diritti esistenziali, socio-assistenziali e soprattutto del rispetto della dignità di quanti vivono nella condizione di disabilità. In questi anni diversi sono stati gli stimoli a livello internazionale relativi alla evoluzione delle problematiche dell’handicap, come ad esempio la Dichiarazione dei diritti degli handicappati, adottata nel 1975 dall’Assemblea Generale dell’Onu, l’Anno Internazionale dell’Handicappato proclamato nel 1981, e l’Anno Europeo delle Persone con Disabilità dichiarato nel 2003. Ricorrenze di elevata rilevanza sociale a livello planetario che inizialmente hanno avuto una certa eco, ma con il passare degli anni la loro considerazione a mio avviso è andata sempre più scemando, più o meno in quasi tutti i Paesi emancipati, in particolare il nostro che tanto vanta democraticità ed uguaglianza. Tali ricorrenze per evidenziare le molte persone meno fortunate (nel mondo sono circa il 15% della popolazione, 50 milioni in Europa di cui circa 3 milioni in Italia) con problemi di diversa natura fisica, psichica e sensoriale, alle quali non si deve precludere alcun diritto e concepite nella loro interezza, tenendo conto di tutti gli aspetti del loro sviluppo fisico e psichico. Ma purtroppo, devo rilevare e sottoporre alla vostra coscienza, che sin dall’inizio e a tutt’oggi queste iniziative istituzionali hanno costituito solo lo spunto per petizioni di principio, almeno in buona parte, senza possibilità di concretizzarsi di più e al meglio… Gli obiettivi comprendevano programmi per la loro realizzazione individuale e collettiva, tenendo presente le molteplici cause che hanno determinato le rispettive disabilità fisiche e/o psico-fisiche, ma anche i fattori socio-economici e culturali: famiglia, casa, lavoro, scuola, sussidi, assistenza, etc; tutti aspetti che hanno trovato ben poca concretezza come ad esempio (per la gran parte di essi) la collocazione al lavoro, l’inserimento scolastico, il sostegno psicofisico e strumentale, l’autonomia, etc. Ma tornando al concetto relativo alla cultura, dovete ammettere che ancora oggi l’handicap è una questione solo di (belle) parole e quindi di una “ricercata” terminologia che ha dei riferimenti assai vaghi, e non a caso assai contestati, vedasi ad esempio l’infelice espressione “portatore di handicap”. In effetti, a ben riflettere, proprio perché è soprattutto una questione di parole, l’handicap lo concepite unicamente dal punto di vista della cultura e dall’espressione giuridica. Il vocabolo, che viene pronunciato per lo più tra la compassione e il disprezzo, intende significare una qualsiasi situazione di svantaggio che rende una persona “diversa” dalle altre, nel senso che la si ritiene inferiore. Inoltre, la condizione di queste persone (soprattutto se affette da deficit psichico o psico-fisico grave) è quella della persona “non desiderata”, che diventa quasi sempre un capro espiatorio dell’aggressività del gruppo sociale, con un ruolo socialmente svalutato, tale da renderla vittima dell’emarginazione e, a questo riguardo, da parte di molti spesso vi sono intolleranza e “strani” atteggiamenti nei loro confronti. La società, nel suo insieme, e quindi anche voi destinatari della presente, non concepisce il fatto che il disabile, proprio perché non di “un’altra specie”, costituisce sempre un caso a sé, unico e non standardizzabile; concetto essenziale perché la mancanza di rispetto e quindi di accettazione per qualunque realtà individuale, condurrà sempre a violenza ed emarginazione. Questa situazione è particolarmente pesante, difficile e che non tende a mutare, in quanto è aggravata dalla cosiddetta “cultura dominante del bello e della produttività ad ogni costo”. Quindi una nuova o rinnovata mitologia che crea continuamente nuovi soggetti handicappati. Ma questo cosa significa? Per essere più incisivo e diretto la condizione di handicap, quindi di svantaggio, sottolineo, è qualcosa che si evidenzia fra l’individuo e la società circostante, e proprio perché tale ambiente non è adatto alle necessità di tutti, è la società che dovrebbe adeguarsi e non il contrario…

A questo proposito mi sovviene qualche caso, da me conosciuto, di disabili con diritto ad una collocazione lavorativa in Enti pubblici (e anche privati), ma per il solo fatto che gli stessi avevano qualche limitazione, come il “lento” adattamento e la “non immediata” comprensione nell’espletare una certa mansione, non superando il cosiddetto periodo di prova sono stati licenziati senza la possibilità di essere collocati altrove. Molti disabili hanno delle discrete capacità residue e buona volontà, ma se non si ha coscienza e pazienza nell’insegnare loro come ben inserirsi nel mondo del lavoro è inevitabile la loro “estromissione”, anche dal tessuto sociale, con le conseguenze che è facile immaginare. Cari Signori, dal potere e volere, vogliamo ora considerare anche l’aspetto morale? È un aspetto non meno importante in quanto si tratta di fare riferimento alla palese inesistente uguaglianza di fatto, mentre il disabile è Persona a cui si deve il massimo rispetto della dignità, quali che siano i suoi limiti fisici o psichici. Senza questa responsabile considerazione il problema degli handicappati non può essere nemmeno sentito come problema reale in quanto resta per la maggior parte di voi un fastidioso disagio… da rimuovere. Anche se mi fate notare che scienza e tecnologia mettono a disposizione molti strumenti per aiuti pratici ai disabili al fine di limitare i loro disagi, ben poco si fa anche in fatto di prevenzione (primaria e secondaria), nonostante sia opinione comune che se attuata è sinonimo di scelta vantaggiosa per il recupero dell’handicappato; ma per prevenire è necessario conoscere a fondo le cause di ciò che si vuole evitare, volgendo uno sguardo anche alle malattie rare che possono determinare una qualsiasi forma di disabilità. Questo sapere, purtroppo è di pochi, a parte gli addetti ai lavori, ed è quindi un fatto di coscienza che ciascuno di voi deve prenderne atto, affidandovi a chi ha competenze nel trasmettere le relative nozioni… con estensione responsabile all’umana solidarietà. Ma alla luce di tutte queste considerazioni come superare, per quanto possibile, la condizione di handicap? Se avete l’accortezza di leggermi sino in fondo vi posso dire che l’handicap può essere superato se voi tutti, attraverso l’apporto delle tecnologie, dell’organizzazione e della corretta informazione, vi impegnate ad integrare la persona con disabilità nel normale circuito sociale, facendo leva sulle potenzialità e le capacità residue della stessa, e imponendo a chi di dovere la considerazione delle stesse. E poiché la qualità della vita passa attraverso la qualità del diritto (ove è prevista giustizia equa per l’intera comunità, il diritto stabilisce garanzie per ciascun cittadino), a maggior ragione chi soffre il disagio dell’handicap necessita di una particolare tutela che ne impedisce l’emarginazione, garantita dalla certezza di regole che stabiliscono il principio di parità sociale. Ma la società, nel suo insieme, e quindi anche tutti voi, raramente si pone il problema di aiutare i disabili garantendo loro anche l’inserimento scolastico e soprattutto il sostegno di operatori qualificati, e quant’altro ancora necessiti per la loro crescita in seno alla propria famiglia e nel più ampio contesto del tessuto sociale. Quindi, a voi tutti mi rimetto con questa lettera aperta affinché “una volta tanto” consideriate il valore della Persona, si essa disabile o non. Questa esortazione sia dunque preludio al superamento della vostra inerzia senza nascondervi dietro il paravento della carenza di mezzi (strutture, denaro, risorse umane, etc.), ma soprattutto quello dell’ipocrisia… tanto umiliante quanto deleteria specie, per chi è considerato un “diverso” dalla collettività e quindi più sfortunato. La solidarietà non è sempre dare, ma anche agire contro l’indifferenza; e gli handicappati sono coloro che ci insegnano a guardare indietro e non avanti.

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