LE VARIE SFACCETTATURE DELLA SOFFERENZA

Affinché il corpus sanitario non sia mai lasciato solo ma coadiuvato nella sinergia da parte dei politici-gestori specie in questo periodo pandemico

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

La sofferenza insegna? È questa una domanda tanto chiara quanto sibillina, soprattutto perché il suo concetto ha molteplici estensioni nel genere umano, oltre che animale. Essa si manifesta sia a livello fisico che psicologico e/o psichico, e chi passa attraverso questa esperienza per eventi particolarmente acuti, ci può trasmettere il suo risentimento ma a volte anche qualche insegnamento. In questo lungo anno di pandemia sono molte le persone che hanno sofferto, ed altre che soffrono ancora a causa di quel malefico virus che si è impadronito del loro corpo, e il tentativo di respingerlo è una lotta contro il tempo e contro… l’assurdità. Le infinite testimonianze in gran parte rese pubbliche sui vari social, danno risalto non solo alla sofferenza fisica a causa della carenza di ossigeno ed altri disturbi correlati, ma anche alla sfera psicologica che è messa a dura prova per via dell’incertezza sulle aspettative: quanto durerà questo calvario? Come reagirà l’organismo alle terapie? E in caso di guarigione clinica, quali le eventuali sequele e per quale durata? Sono domande che si sono posti tutti quelli (compreso chi scrive, quale ex paziente Covid)  che sono passati attraverso il tunnel della virulenza del Covid-19, alla ricerca spasmodica di risposte per un minimo di rassicurazione e di conforto rivolti agli infaticabili (e spesso stremati) operatori sanitari, il cui impegno spesso va oltre la somministrazione del farmaco o di un qualunque altro trattamento medico e infermieristico-assistenziale. Sovente, infatti, a questi paladini è richiesta una parola dolce, una tenera carezza e anche un sorriso che lasciano trapelare dalla mascherina con visiera, cuffia e occhiali quasi sempre appannati dal sudore. Quindi, medici e infermieri e all’occorrenza anche nella veste di psicologi che fanno di tutto per mitigare lo stato sofferente di ogni ricoverato, ancorché acuito dalla impossibilità di avere un breve contatto con i propri famigliari. Se anche questa non è sofferenza, che cos’è? Inoltre, io credo che il grado di sopportazione, per quanto soggettivo, è un’appendice alla sofferenza psico-fisica e se si instaura una empatia con chi è preposto alle cure, magari anche con il proprio vicino di letto, la via di guarigione o comunque di un possibile miglioramento è come cominciare ad intravedere la luce in fondo al tunnel… Ma il dramma nel dramma, come in tutte le esperienze di sofferenza di tipo clinico, a mio avviso include l’insuccesso di una terapia e la perdita del paziente; tale sofferenza assale sia i medici che gli infermieri, e gli Oss, non solo per “non essere riusciti” a salvare i pazienti loro affidati, ma anche per il delicato ed impegnativo compito di relazionare con i loro famigliari… in penosa attesa di una rassicurazione, e purtroppo in taluni casi di una informazione che non vorrebbero mai avere.

Ecco che il “fardello” della sofferenza diventa globale, un peso che però andrebbe “distribuito” coinvolgendo tutte quelle figure deputate e responsabili alla gestione di un Sistema sanitario che in questo contesto pandemico sta dimostrando il massimo dell’efficienza e della abnegazione (i rarissimi casi di inefficienza non fanno testo…) ; ma resta però  da rivedere tutte quelle lacune che possono compromettere lo svolgimento di un’attività che, in modo sempre più ricorrente, necessita di maggior sostegno logistico ed organizzativo, se non anche economico. E per questi ultimi aspetti i politici-gestori responsabili “soffrono” (pare) a loro volta, non tanto per le responsabilità di cui sono investiti, ma per l’ardua scelta di determinate decisioni che dovrebbero basarsi non solo su dati oggettivi, ma anche e soprattutto sulle (presunte) competenze unitamente alla propria coscienza. Con questo articolo d’opinione ho forse detto cose scontate ma ho inteso mettere in risalto che il concetto di sofferenza è univoco; tutto sta a rispettarla affrontandola insieme e, per giungere a questo, è bene rifuggire da ogni presenzialismo e rivalità d’ogni sorta. Il politico, in particolare, è bene che sappia che l’unione “intelligente” e razionale non solo fa la forza, ma spesso fa anche la cura. Chi vuole intendere, intenda!

La prima immagine è tratta dal sito Fox5 Vegas, la seconda dal sito FNOPI

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