LE COSTANTI DIFFICOLTÀ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Diventa sempre più urgente soddisfare al meglio e in tempi brevi le esigenze di pazienti, disabili, e anziani affetti da patologie croniche, per diritto costituzionale ma soprattutto per quel senso etico-morale che si chiama rispetto per la salute e la vita della Persona.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

La pandemia non è ancora finita, sia pur in gran parte attenuata, segno che il virus responsabile che ci perseguita ormai da tre anni, continua ad essere autore di violazione di domicilio, ovvero del nostro organismo. Ricoveri ospedalieri ad oltranza e adeguati protocolli terapeutici hanno finora “limitato” i danni per quanto possibile, mettendo costantemente a dura prova operatori sanitari e volontari, come pure altre figure a seguire per varie competenze. Ma quale il prezzo sinora pagato in merito alle conseguenze? Credo che sommando tutte le voci delle stesse e dei molti provvedimenti presi si creerebbe un elenco senza fine e, senza dimenticare i morti (tra i quali anche molti sanitari) e le ricadute sulle loro famiglie, bisogna ulteriormente intensificare la nostra attenzione su quella che personalmente definisco “propensione parzialmente iniqua tra sanità pubblica e privata”, in quanto per quanto riguarda la prima sta in parte esondando al peggio in modo incontenibile, la seconda ne assorbe “favorevolmente” l’erogazione delle prestazioni che la sanità pubblica, appunto, non riesce a soddisfare nei tempi dovuti nonostante sforzi e dedizione. Si cominci, ad esempio, a considerare più seriamente il lento ripristino delle prenotazioni di visite ed esami strumentali, ossia rimarginare a calendario le liste di attesa per effetto delle quali non solo molti pazienti hanno dovuto ricorrere alla sanità privata (sia pur parzialmente in convenzione con il SSN), ma altrettanti hanno rinunciato a farsi curare e, in questi casi, non vorrei immaginare quanti hanno patito eventuali conseguenze… Proseguendo in questo marasma (mi si perdoni l’eufemismo) c’è da considerare l’eccessivo afflusso ai Pronto Soccorso, non solo per casi di infezione da Covid 19 ma anche per via dell’attuale periodo influenzale (ed altre patologie) per il cui trattamento acuto sono coinvolti non solo i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta ma anche i sanitari di tutti  gli ospedali e del Territorio. E come se non bastasse bisogna far fronte alla carenza di organico in considerazione delle molteplici esigenze di espletamento della Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Ma poi vi sono da espletare anche le pratiche degli invalidi, parte dei quali necessitano di visita fiscale (Asl/Inps) per l’accertamento e/o revisione dello stato invalidante, ed in altri casi della fornitura protesica solitamente prescritta dal piano terapeutico ospedaliero e dai medici specialisti prescrittori del Territorio, che deve essere autorizzata dalla Asl di competenza. Ed ecco che in tutti questi casi da parte dei gestori della Sanità (burocrati) si sommano ulteriori giustificazioni più o meno attendibili nel ritardo delle prestazioni, come ad esempio la cosiddetta spending review e i conseguenti obiettivi da raggiungere (ma di questi due aspetti cosa ne sa il cittadino?). Tali giustificazioni al paziente non interessano, sia pur considerando le difficoltà oggettive del momento, come altrettanto oggettive sono le sue esigenze per ottenere una visita specialistica, un esame strumentale o la fornitura di un ausilio protesico. Il fatto è che il paziente si rivolge alla Struttura sanitaria quando accusa un sintomo, e non quando lo stesso è progredito nel tempo e magari con qualche conseguenza… Un cane che si morde la coda? Non proprio direi, perché anzitutto vanno rispettate le priorità (specie da parte delle Asl) e per questo medici, infermieri e amministrativi solitamente fanno anche l’impossibile, e poi perché chi intende mantenere il ruolo di politico-gestore deve prendersi tutte le responsabilità che gli competono e, in caso di inosservanza, giustificata o meno, il cittadino-paziente può agire nei dovuti modi e nelle opportune sedi.

Ma va anche detto, e questo mi è sempre stato insegnato, che quando un pubblico ufficiale non risponde in modo giustificato e/o sufficiente alle razionali richieste del cittadino, incorre nel reato di omissione in atti di ufficio (art. 328 del C.P.). Ora, viste le circostanze, attenuanti e giustificazioni in gran parte giocano a favore di chi gestisce la Sanità, ma vanno contemporaneamente considerate le esigenze del paziente specie se improrogabili per tempi e modalità. Ricordo inoltre, per il lettore comune, che tutto ciò che non è legiferato e/o regolamentato è opinabile; ma purtroppo, a mio dire, e lo osservo da molti anni, permane nella cultura italiana il fenomeno della non (completa e corretta) informazione dei diritti (doveri compresi) e, finché l’interessato si accontenta di informare del proprio disagio l’opinione pubblica attraverso i mass media, difficilmente otterrà la definizione del suo problema. È ovvio che salute, sanità e assistenza spesso sono collegate, e non sempre si può discernere l’una dall’altra; pertanto, è indispensabile che ognuno si documenti adeguatamente ogni volta (le fonti non mancano, anzi…) e impari a collaborare (per quanto possibile) con i propri interlocutori, oltre ad essere anche un po’ “tolleranti” là dove si presenta la necessità. Per le cosiddette “fasce deboli”, sarebbe ora che le associazioni di volontariato si predispongano con competenza e disponibilità in loro favore, proprio come facevano i templari di un tempo. In caso contrario, continuerà a perpetuarsi il vecchio adagio: ognuno per sé e Dio per tutti…

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