28 Apr 2023

I nuovi indicatori Ue sono potenzialmente rivoluzionari – #718

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La Commissione europea adotterà una serie di indicatori per misurare le sue politiche ambientali che sono abbastanza rivoluzionari, sono basati anche sui consumi e prendono in considerazione i limiti planetari. Vediamoli insieme. Parliamo anche della città di Madrid, governata da negazionisti climatici, dei progressi in Europa nella rinaturazione dei fiumi e della complessa situazione geopolitica internazionale.

Allora, c’è una novità piuttosto grossa. In realtà non è una roba nuova nuova, è uscita circa tre settimane fa, ma è passata talmente inosservata ai giornali che non me ne sono proprio accorto. Poi fortunatamente mi è stata segnalata ieri e quindi ve la riporto oggi. L’unico giornale che ne ha parlato in Italia è Economia Circolare, a cui va un plauso. Perché fra l’altro lo fa in maniera molto approfondita.

Ok. Di che sto parlando? Parlo del fatto che la Commissione europea ha rilasciato una serie di nuovi indicatori con cui intende monitorare l’andamento delle sue politiche legate alla sostenibilità. Quindi del Green Deal, e più nello specifico del Piano d’azione per l’economia circolare, del Piano d’azione per l’inquinamento zero, della Strategia Farm to Fork per una produzione alimentare sostenibile e della Strategia dell’UE per la biodiversità al 2030.

E fin qui, direte voi, non è niente di così sconvolgente. Il punto è che sono indicatori che cambiano in maniera sostanziale il nostro modo di vedere il mondo e misurare le cose, in un modo che è più attinente alla realtà. Il che è un’ottima notizia. Ma andiamo con ordine.

Partiamo da come la commissione europea stessa presenta i nuovi indicatori sul suo sito istituzionale. Leggo: “La Commissione europea ha sviluppato un quadro di valutazione per monitorare l’evoluzione dell’impronta ambientale complessiva della produzione e del consumo dell’UE e per confrontare l’impronta rispetto ai limiti planetari. L’impronta dei consumi risponde alle sfide principali poste dalla necessità di una valutazione sistemica e olistica della transizione verso la sostenibilità e rappresenta una serie di indicatori chiave per sostenere le ambizioni del Green Deal europeo”.

Ecco, già in queste poche righe sono presenti almeno robe rivoluzionarie. Fra poco ve le rendo più esplicite, ma prima approfondiamo un po’ la questione. Come spiega Tiziano Rugi in quell’unico articolo in italiano sull’argomento che vi menzionavo, datato 4 aprile e pubblicato sul magazine web Economia Circolare, “la Commissione europea ha definito due diversi indicatori: la Domestic Footprint (impronta legata alla produzione) e la Consumption Footprint (impronta legata ai consumi)”. 

“Le differenze tra gli indicatori sono sostanzialmente due: il primo segue un approccio basato sulla produzione e ha lo scopo di quantificare gli impatti ambientali legati ad essa. Gli impatti sono attribuiti a chi produce il bene stesso e il campo di analisi delle emissioni e delle risorse utilizzate si limita al territorio dell’Unione europea”.

“Il secondo indicatore segue un approccio basato sul consumo e mira a quantificare gli impatti ambientali legati al consumo dei beni. La particolarità è che gli impatti ambientali di ciascun prodotto sono attribuiti alla nazione dove lo stesso viene consumato e perciò tiene conto non solo di quanto prodotto negli Stati membri dell’Ue, ma anche delle importazioni e delle esportazioni”.

Quindi, quali sono questi due aspetti rivoluzionari di cui vi parlavo? Il primo è aver introdotto i Planetary boundaries, i limiti planetari all’interno di uno strumento di misurazione dell’impatto delle politiche europee. È una roba grossa. I PB sono probabilmente il sistema più sofisticato, basato su un approccio sistemico, per osservare l’andamento di una serie di elementi chiave dell’ecosistema terrestre che supportano la vita sulla terra per come la conosciamo. 

Andiamo dal cambiamento climatico, all’acidificazione degli oceani, dal consumo di acqua dolce, ai cicli di fosforo e azoto, alle sostanze chimiche prodotte dalla nostra specie, alla perdita di biodiversità, al consumo di suolo, all’aerosol atmosferico. La maggior parte delle persone conosce forse 3-4 di queste cose che ho nominato, eppure da tutte queste cose assieme dipende la sopravvivenza della nostra specie e di milioni di altre specie su questo pianeta.

Quindi il fatto di prenderle tutte in considerazione all’interno degli indicatori è una cosa estremamente importante. 

Il secondo aspetto rivoluzionario, forse ancor più rivoluzionario, è prendere finalmente in considerazione i consumi, oltre alla produzione. Quindi inserire un indicatore basato sul consumo, in cui – leggo ancora dla sito della Commissione “gli impatti ambientali dell’intero ciclo di vita del prodotto (estrazione delle materie prime, produzione, fase di utilizzo, riutilizzo/riciclaggio e smaltimento) sono attribuiti al Paese in cui il prodotto viene consumato”. 

Il che ha molto senso, essendo la nostra economia di mercato trainata principalmente dalla domanda. Insomma, se io cittadino europeo compro uno smartphone assemblato in Cina, che al suo interno contiene microprocessori prodotti a Taiwan e materie prime estratte in Cile e in Mozambico, tutta l’energia, l’acqua, le materie prime necessarie per assemblare, trasportare e alla fine del ciclo di vita “smaltire” quel telefono vengono assegnate a me e al mio paese. 

Questo cambio radicale di prospettiva smonta immediatamente e rende evidenti tutta una serie di falsi miti. Ad esempio, quello del famoso decoupling o disaccoppiamento, ovvero la teoria secondo cui si più continuare a far crescere l’economia e i consumi facendo calare le emissioni climalteranti e l’alterazione degli ecosistemi. Teoria su cui si basa l’idea della crescita sostenibile. Ecco, l’Europa era considerata uno dei pochi casi di successo l mondo di disaccoppiamento riuscito, perché mentre il pil continua a crescere le emissioni prodotte dai paesi europei sono in calo da anni. Ma i primissimi dati di questo indicatore basato sul consumo mostra una realtà diversa.

Torno a leggere l’articolo su Economia Circolare: la Consumption Footprint: è aumentata del 4% dal 2010 al 2021 in Ue, con un picco del 10% nel 2019, poi frenato con il cambiamento degli stili di vita introdotti durante la pandemia di Covid-19. La Consumption Footprint media di un cittadino europeo è dominata dagli impatti legati al settore alimentare (48%, in particolare per il consumo d’acqua e l’allevamento), seguito dagli impatti legati al settore delle abitazioni (19%, soprattutto per il riscaldamento degli ambienti) e dei trasporti (15%, trascinato dall’uso di auto private).

Insomma, se misuriamo l’impatto delle nostre economie a partire dai consumi, la virtuosa europa non sembra più così tanto virtuosa. E a parte qualche caso isolato, il disaccoppiamento sembra non esistere nei fatti. Fra l’altro è interessante notare che ci sono un sacco di tool all’interno di questo indicatore proprio per monitorare il disaccoppiamento dell’economia europea nel suo complesso e quello dei singoli paesi. L’obiettivo dichiarato è quello di migliorare il disaccoppiamento, quindi non si parla ancora di superarlo o archiviarlo, ma già il fatto che lo si monitori e – probabilmente, a quanto sospettiamo – si veda che non funziona, è un passo di consapevolezza interessante per future politiche più sostenibili e consapevoli.

Qualche ulteriore informazione e considerazione in chiusura. 

  • Non so se e quanto l’Ue applicherà realmente delle politiche basate su questi indicatori. Farlo significherebbe cambiare radicalmente i nostri sistemi e modelli di produzione e consumo, cosa necessaria ma anche politicamente difficile. Ad ogni modo, anche solo come strumenti di analisi della realtà questi indicatori sono utilissimi, di sicuro per noi giornalisti. Vi lascio i link sotto fonti e articoli.
  • Vi lascio anche il link di un’altro indicatore, che invece si può usare a livello personale ed è stato sviluppato dagli stessi ricercatori per aiutare anche i singoli cittadini a misurare il proprio impatto e capire come ridurlo. Si chiama Consumer Footprint Calculator. 
  • Altra considerazione, di cui non ho la certezza. Credo che almeno in parte tutto ciò derivi dall’enorme lavoro scientifico-culturale fatto dalla EEA sul superamento del concetto di crescita economica. Un lavoro che forse sta iniziando a penetrare all’interno delle istituzioni in maniera più robusta di quanto si potesse immaginare. Interessante da questo punto di vista il fatto che l’Executive Director della EEA Hans Bruyninckx, in una diretta Linkedin, abbia dichiarato che le future politiche europee in tema di sostenibilità saranno basate su indicatori basati sul consumo. Aggiungendo:  “Avremo 10 miliardi di persone su questo pianeta, si tratta di dare loro uno stile di vita decente, che significa cibo sano, buone infrastruttura, accesso alla casa, all’energia, alla mobilità, all’interno dei PB. E quindi dobbiamo cambiare il nostro sistema di produzione-consumo e anche le ineguaglianze che ne derivano”.

Ok, ci siamo dilungati un po’, ma aveva senso farlo, credo. Quindi andiamo un po’ più veloci sulle altre notizie. Restando in tema ambientale-climatico, mi colpisce il reportage andato in onda su Arté (lo trovate sottotitolato sul sito di Internazionale) in cui si racconta l’assurdo operato della giunta di Madrid, che in una Spagna travolta da ondate di calore sempre più frequenti ha abbattuto il 20% degli alberi cittadini negli ultimi 4 anni, sostituendo le aree verdi con zone cementificate, impermeabili e che favoriscono l’effetto “isola di calore”. 

La giunta comunale e quella regionale ha una maggioranza fatta di negazionisti climatici o perlomeno scettici climatici. La Presidente della regione Isabel Diaz Ayuso ha detto pubblicamente, in una seduta del consiglio, che i cambiamenti climatici sono sempre esistiti e che questa enfasi che viene messa adesso sul problema è una scusa per portare avanti politiche comuniste. Il sindaco di Madrid José Luis Martínez-Almeida Navasqüés ha riaperto al traffico il centro di Madrid, dopo che le amministrazioni precedenti lo avevano chiuso. Le piste ciclabili in città sono praticamente assenti.

Tutto ciò fra l’altro avviene in un momento in cui la Spagna è stretta da una nuova morsa di calore. Come scrive Sam Jones, inviato del Guardian proprio a Madrid, “Il governo spagnolo ha consigliato alla popolazione di prestare particolare attenzione mentre il Paese, colpito dalla siccità, sperimenta temperature da record che potrebbero portare a una temperatura di aprile senza precedenti, pari a 39°C in alcune zone dell’Andalusia, nella giornata di venerdì.”

Chissà se la drammaticità della situazione spingerà gli elettori madrileni a fare una scelta di discontinuità. Perché, come ricorda il servizio su Artè, fra tre mesi si vota.

Dalla Spagna però, e non solo, arrivano anche notizie incoraggianti. Il paese è infatti al primo posto per la rimozione delle barriere fluviali, in Europa, all’interno di un trend generale molto positivo. Leggo da un articolo sull’argomento pubblicato da La nuova ecologia: “Nel 2022 è stato rimosso un numero record di barriere fluviali, tra cui dighe e sbarramenti, in tutta Europa: almeno 325 sono state abbattute in 16 Paesi, consentendo ai fiumi di scorrere liberamente e ai pesci migratori di raggiungere le aree di riproduzione. Nel suo rapporto annuale, Dam Removal Europe ha dichiarato che la Spagna è in testa per il secondo anno con 133 rimozioni, seguita da Svezia e Francia”.

Nota negativa: l’Italia è ancora ferma a zero. Queste rimozioni sono considerate operazioni-chiave al fine di ristabilire la biodiversità nei fiumi europei. Nel solo 2022 sono stati riconnessi 832 km di habitat fluviali.

Fra l’altro, c’è anche una legge europea in cantiere, la legge sul ripristino della natura proposta dalla Commissione europea nel giugno 2022 e attualmente in fase di negoziazione al Parlamento europeo e al Consiglio. Questa legge presenta nuovi obblighi e obiettivi per ripristinare la salute degli ecosistemi d’acqua dolce in Europa, e all’articolo 7 fa esplicito riferimento alla rimozione delle dighe come mezzo per “contribuire alla naturale connettività longitudinale e laterale dei fiumi e all’obiettivo dell’Unione europea di avere 25000 km di fiumi che scorrono liberamente” e per “contribuire a ripristinare aree fluviali e pianure alluvionali”, elementi fondamentali della Strategia dell’Ue per la biodiversità per il 2030.

Torniamo anche a parlare della complessa situazione geopolitica internazionale. Sul fronte del conflitto in Ucraina la novità principale è che c’è stato il tanto atteso colloquio telefonico fra il leader cinese Xi Jinping e quello ucraino Volodymyr Zelensky. 

La Cina conferma di voler giocare un ruolo di paciere che probabilmente va un po’ oltre quello di pura facciata che viene raccontato a queste longitudini. Come racconta Guido Santevecchi sul Corriere della Sera, la telefonata ha vertito su tre i punti chiave. 1) La cosa più concreta è l’annuncio dell’invio del Rappresentante speciale cinese per gli affari euroasiatici a Kiev e «in tutti gli altri Paesi interessati alla soluzione della crisi ucraina». Si tratta di Li Hui, in passato e per dieci anni ambasciatore a Mosca: dunque molto esperto di discussioni con il Cremlino.

2) Xi ha evocato il rischio di uso dell’arma nucleare, dicendo che «nessuno esce vincitore da uno scontro del genere». Forse, scrive il giornalista, per convincere gli ucraini della necessità di sedersi rapidamente al tavolo per scongiurare un esito atroce e umanamente insostenibile.

3) A Pechino nelle ultime settimane si è svolta una processione di leader europei, dal premier spagnolo Pedro Sánchez, al presidente francese Emmanuel Macron, che hanno chiesto a Xi di premere su Putin e di proporsi come grande mediatore, chiamando Zelensky. Questo gesto, questa telefonata può essere vista anche come apertura verso le relazioni con l’Europa.

Secondo il riassunto cinese, Xi ha citato a Zelensky le idee elaborate in questi lunghi mesi per «avviare colloqui, ristabilire e preservare la pace, i confini riconosciuti e la sovranità di ogni Paese».

Mercoledì invece il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e quello sudcoreano Yoon Suk-yeol hanno annunciato un nuovo accordo per rispondere alle minacce da parte della Corea del Nord. L’accordo prevede tra le altre cose che gli Stati Uniti inviino in Corea del Sud sottomarini nucleari (che si chiamano così perché utilizzano un motore alimentato da un reattore nucleare) che avranno l’obiettivo di scoraggiare un eventuale attacco da parte della Corea del Nord.

Sarà la prima volta in più di trent’anni che gli Stati Uniti manderanno sottomarini nucleari in Corea del Sud: lo avevano fatto frequentemente tra gli anni Settanta e Ottanta, ma avevano smesso nel 1991 dopo che la Corea del Nord aveva accettato di firmare un accordo di denuclearizzazione della penisola coreana.

Infine, in un luogo meno raccontato del mondo, il Sudan, continua una guerra meno raccontata, una guerra civile interna alle forze politico-militari che sta distruggendo il paese. Un articolo del Post racconta che “Le violenze sono iniziate e si stanno concentrando soprattutto a Khartum, la capitale, una città divisa da un fiume, poco più piccola di Roma e con circa gli stessi abitanti di Palermo (più o meno 630mila persone, oltre 5 milioni in tutta l’area metropolitana). Ad oggi Khartum è in buona parte distrutta: i bombardamenti hanno demolito o danneggiato edifici governativi, edifici civili, case, negozi e strade, e migliaia di persone sono fuggite”.

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