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Ancelotti alla Luiss: «Col Napoli voglio battere il record di otto anni di permanenza al Milan». E si commuove parlando del figlio Davide (VIDEO)

«Condivido la politica del Napoli, perciò sono venuto. Il calcio si è globalizzato, fin troppo. Non credo alle statistiche tecniche, ai dati sui passaggi riusciti»

Ancelotti alla Luiss: «Col Napoli voglio battere il record di otto anni di permanenza al Milan». E si commuove parlando del figlio Davide (VIDEO)

Carlo Ancelotti è intervenuto all’Università Luiss di Roma. Un ricco, profondo e a un certo punto anche commosso intervento dell’allenatore del Napoli che ha risposto alle domande degli studenti. Tanti i tifosi del Napoli presenti in aula.

Razzismo

«Quella di oggi è stata una giornata molto emozionante. L’università mi mette imbarazzo perché non l’ho mai frequentata. Mi imbarazzava la scuola superiore, figuriamoci l’università. Qui non ti obbligano a studiare, quindi aumenta il senso di responsabilità.

Ho la fortuna di fare quello che mi piace fare, quello che mi emoziona. Nonostante l’età abbia cambiato me e sia in parte cambiato il calcio, cerco di fare tutto il possibile per tutelare questo sport e la mia passione.

Dopo nove anni sono tornato in Italia. All’estero la grande difficoltà è la lingua. È impossibile trasmettere le emozioni con una lingua che non conosci. Però in Italia vedi cose che all’estero sono passate. E allora si cerca di fare qualcosa. Come per il razzismo. È stata un’opportunità. Ha risvegliato un po’ le coscienze, le regole sono state cambiate.

Tutti si sono resi conto che è sciocco parlare di queste cose nel 2020. Qualcosa è migliorato, l’importante è che ci sia stata la consapevolezza che è un problema che dev’essere risolto, sarebbe stupido non risolverlo».

L’importanza dello studio

«L’importanza di aggiornarsi con i tempi, trovare sempre qualcosa per tenersi vivo. Uno si sente vivo quando sa di non sapere tutto. Il calcio è cambiato moltissimo a livello di metodologia, di preparazione. Oggi ci si allena in modo diverso rispetto a vent’anni fa. Ho avuto l’opportunità di crescere quando sono stato esonerato. L’esonero può rappresentare un momento di aggiornamento. Così anche per un allenatore diventa meno traumatico. Ormai tra gli allenatori l’esonero è un momento della carriera. Il calcio cambia molto velocemente».

Comunicazione

«Ci sono vari aspetti che riguardano la comunicazione. C’è la gestione della squadra, c’è la comunicazione con la società e con l’esterno. A Monaco di Baviera non ho avuto uno scontro con i giocatori ma uno scontro di filosofia. In quel momento per me il Bayern aveva bisogno di cambiare filosofia e giocatori e la mia idea si è scontrata con la volontà della società che invece voleva  rimanere con il gruppo storico. La cosa più giusta è stata chiudere prima. Sono stati contenti loro e sono stato contento io.

Quando il Napoli uscirà dal limbo e diventerà un top club?

«Limbo mi sembra una parola grossa. Se il Napoli è nel limbo, a parte la Juventus le altre dove sono? Nell’ultimo periodo il Napoli è stato ai vertici del campionato italiano, sempre in Champions. Questo è l’obiettivo. Anche questo è un risultato sportivo. Ci sono squadre che vincono e altre che non è che perdono ma che sono vinte. Negli  ultimi dodici anni il Napoli ha fatto passi da gigante, la squadra è molto vicina a raggiungere risultato sportivo importante. È una società sana, che ha un progetto chiaro, che investe in base a quello che ricava. Oramai ci sono regole chiare che ti impongono di fare questo. È nel dna di questa società. Se sono andato a Napoli è perché condivido e accetto questo progetto. Un progetto che mi piace anche a livello tecnico, c’è il desiderio di investire sui giocatori giovani. Credo che siamo vicini a ottenere risultati sportivi importanti, perché i risultati economici sono già stati raggiunti dalla società

Che calcio ha trovato in Italia?

«A livello tecnico ho trovato il solito calcio italiano che è molto considerato  in Europa per le sue conoscenze tattiche. È un campionato molto formativo, qui i sistemi di gioco sono molto diversi. A livello tecnico è un calcio di ottimo livello. La grossa differenza è nelle infrastrutture. Siamo indietro, in Europa gli stadi sono stati quasi tutti rinnovati. E a livello ambientale qui siamo rimasti agli  insulti, alla maleducazione, alla violenza. In Inghilterra non sono mai stato insultato, in Francia nemmeno, anche se in Francia c’è un interesse annacquato per il calcio: lì seguono di più il rugby, l’ippica. In Inghilterra sono diventati molto molto seri, è un bell’ambiente da vivere, gente allegra che va allo stadio, gente che si diverte, zero violenza. In Germania siamo sullo stesso stile dell’Inghilterra. In Italia siamo ancora indietro, troppa polizia, troppa gente maleducata, bisogna migliorare.

In quale club ha incontrato più difficoltà e come è cambiato il calcio?

«È difficile dirlo, ogni campionato ha le sue caratteristiche. In Spagna si gioca di più con la palla, con il possesso. In Italia c’è più  tatticismo. In Inghilterra molto ritmo come in Germania e in Francia. Anche se il calcio si sta globalizzando, è difficile dire oggi calcio all’italiana, all’inglese, oppure calcio tedesco, c’è una globalizzazione. C’è una tendenza diffusa a costruire gioco. Non è tanto riconoscibile il calcio propriamente difensivo, Anche le squadre piccole hanno sempre l’idea di creare qualcosa. È un calcio meno specialistico e più globale.

Come i ruoli, un tempo erano molto più definiti. Il portiere doveva parare, il difensore marcare, il centrocampista marcare e costruire, l’attaccante segnare. Oggi l’attaccante difende. Il portiere deve giocare coi piede, se para ancora meglio. Il difensore non è un bravo difensore se non supera la metà campo. Credo che il futuro del calcio sarà tornare un po’ indietro.

Se guardiamo i giocatori che toccano di più la palla, sono il portiere e i due difensori centrali, e allora c’è qualcosa che non quadra perché l’obiettivo è sempre mettere la palla dentro. Nel futuro vedo un calcio che torna indietro, alla palla lunga e qualche rinvio in più. Adesso se dici “palla lunga e pedalare” ti stracciano il cartellino di allenatore».

Importanza delle statistiche

«È un argomento di stretta attualità, Ci sono due tipi di statistiche, una di carattere fisico e anche lì si potrebbero fare obiezioni, anche se quello fisica è un dato oggettivo. C’è una strumentazione molto avanzata, una tecnologia che ti permette di valutare  esattamente quello che un giocatore fa sul campo. Però anche lì la statistica va interpretata. Solitamente il Napoli è una squadra che nel volume globale di corsa, corre meno degli altri. In base a questi dati, ti dicono che la condizione atletica del Napoli non è tanto brillante A me non interessa il volume totale di corsa di un giocatore. A me interessa che il giocatore riesca a sviluppare un dato importante di corsa ad alta intensità, non il dato globale. Anche la statistica deve essere interpretata. Questo tipo di statistiche sono molto importanti, perché è su queste statistiche che costruiamo l’allenamento. Se fai allenamento con la palla, non più a secco, il dato fisico ti dà la valutazione del carico dell’allenamento.

Ho ancora molte perplessità sulle statistiche per quel che riguarda il dato tecnico. C’è solo un dato correlato col risultato: e sono i gol fatti e i gol subiti. Non è detto che vinci con più possesso palla, più passaggi, più tiri in porta. Prendiamo il dato di percentuale dei passaggi riusciti: può essere anche del 90% ma se sono tutti passaggi laterali non mi interessa. Mi interessa uno che rischi un passaggio verticale e magari può anche sbagliarlo. La tecnologia va avanti. Oggi stiamo sperimentando una strumentazione che ti indica se la scelta del passaggio è giusta o sbagliata. Cioè se il giocatore fa il passaggio giusto o sbagliato.

Scena giornalistica sportiva italiana e dell’ipertatticizzazione della narrazione calcistcia (lavagnette)

«Cerco di rispettare il lavoro di tutti. Direi che a livello di stampa il mondo si è allargato, si è evoluto. Una volta, c’era un rapporto molto più diretto tra addetto ai lavori e giornalista. Ora è molto filtrato. Rimane il fatto che da parte di mia c’è grande rispetto per le opinioni di tutti. Il calcio non ha una verità, non c’è l’università del calcio. La laurea viene attraverso la passione per questo sport, il giornalista è una persona che ha passione, che guarda tante tante partite ed esprime un’opinione. C’è grande passione da parte di tutti.

Un giornalista scrive perché ha passione per questo sport e cerca di narrarlo alla sua maniera. In Italia se fai la conferenza stampa e dici gli undici che giocano, sarebbe finita. In Inghilterra ai giornalisti non interessa sapere chi va in campo, ma se sono andati in discoteca.

La narrazione. Il calcio è cambiato ed è cambiato anche il linguaggio. Un tempo si diceva terzino destro, oggi laterale; c’era lo stopper, e ora si chiama difensore centrale. Contropiede non si può più dire, c’è la ripartenza. Una volta c’era il libero. Un giornalista mi chiese: come si comporta la tua squadra nelle transazioni positive? Io gli dissi: ferma tutto che devo finire il libro. Non sapevo cosa fosse una transizione positiva. Tutto cambia, e ci dobbiamo adattare.

Nazionale

Ho avuto un contatto, tra l’altro era proprio di questo periodo l’anno scorso. Ebbi un colloquio con i dirigenti ma la mia volontà era di allenare tutti i giorni. Quello che mi piace fare è stare sul campo tutti i giorni. Avevo espresso il mio desiderio e la mia volontà. Tant’è che il giorno dopo ho incontrato i dirigenti del Napoli e abbiamo trovato velocemente l’accordo.

Influenza Liedholm fissato con la numerazione e poi crescita di suo figlio come allenatore

«Liedholm è stato un maestro molto importante nella mia formazione come calciatore e, soprattutto a distanza di tempo, nella gestione del modo di relazionarsi con gli altri. È stata per me una persona di grande riferimento. Mi è sempre piaciuto il suo modo di comunicare con gli altri, di aver un rapporto con le altre persone, e credo che da quel punto di vista, della comunicazione, è stato un grande. Non dico che ho imparato da lui, diventa di fondamentale importanza il carattere hai e il carattere te lo formi con l’esperienza che hai vissuto e con gli esempi che hai seguito da giovane. Dicono tutti che sono un tipo molto tranquillo, posato,  calmo, ma tante volte diventa un limite nel lavoro che facciamo. Tante volte ti chiedono tutto il contrario. Quando le cose non vanno bene ti dicono che sei troppo buono, troppo tranquillo, ti chiedono di usare la frusta con i giocatori. Io non posso essere diverso. Tutto il percorso della mia crescita è legato a persone con questo tipo di carattere. Mio padre era sereno, calmo, tranquillo. Il mio maestro non ha mai usato la frusta, Liedholm era calmo sereno tranquillo. Se mi chiedi di fare altro, non sarei credibile. E la credibilità in qualsiasi tipo di rapporto è fondamentale per costruire un rapporto positivo. Non sono capace di usare la frusta.

Mio figlio

«Ha fatto scienze motorie come preparatore atletico, ha avuto il culo che l’ho portato al Psg, poi al Real, al Bayern di Monaco dove ha fatto il corso per allenatore». Qui Ancelotti si ferma, si commuove. E aggiunge. «È molto bravo. Punto». Michele Platsino sottolinea la sua commozione e Ancelotti dice: «è un altro difetto che ho»

Come riesce a motivare tutti i giocatori

«L’aspetto psicologico è l’aspetto più complicato. È molto difficile motivare chi gioca di meno. Perché il calciatore vuole giocare sempre. Quando dai la formazione, ci sono undici persone che sono contente e altre quattordici che mascherano la delusione col fatto che sono in un gruppo e quello è l’aspetto più complicato nella gestione, nella motivazione. Uno strumento importante è il dialogo, sia attraverso di me che parlo direttamente con i calciatori sia attraverso lo staff. Solitamente il giocatore con le persone dello staff si confida molto di più che con te direttamente. Qualcuno dello staff riesce a capire lo stato d’animo di un giocatore. Il turn over è un aspetto importante per tenere motivato tutto il gruppo. È l’aspetto più complicato. In questo contesto è molto importante la presenza della società che deve supportare l’allenatore».

I campioni di ieri e di oggi

«Oggi i giocatori sono molto più seri e professionali rispetto ai miei tempi. Si curano molto di più. Sono migliorate le tecniche di allenamento, di prevenzione. Il giocatore più bravo, in generale, è anche il più serio e il più professionale. Non devi dire tante cose su quello che deve fare, già lo sa. Quando hai la fortuna di trovare un grande campione anche molto serio, che è un esempio per gli altri, è anche la chiave del successo della squadra».

Difficoltà a cambiare mentalità gioco di Sarri (2-4-2-2)

«Ho trovato una squadra che conosce tante cose. Il movimento di linea difensivo è fatto molto bene, gestiscono situazioni a livello di possesso palla con molta lucidità. Ho pensato che difendere diversamente potesse darci molti più vantaggi, col 4-4-2 si difende meglio. Si aggredisce meglio in avanti. Ma non ho mai imposto niente, ho verificato se c’era la disponibilità e volontà di farlo, soprattutto con i centrocampisti. Ho parlato con Hamsik, Callejon, Allan, da tutti ho ricevuto grande disponibilità. In generale quando porti qualcosa di nuovo, se non c’è l’imposizione, se si sentono coinvolti, ti danno qualcosa in più. Se non c’è l’imposizione, gli dai motivazioni ulteriori. Dev’esserci il coinvolgimento. Abbiamo provato, è andata bene e abbiamo continuato

Leadership

«Il lavoro è cambiato parecchio lavorare in una squadra. Quando ho iniziato, alla Reggiana, avevo sedici giocatori, un medico e due fisioterapisti, eravamo 22-25 persone. Adesso un gruppo squadra sono 50 persone. Per una persona cui viene chiesto di guidare un gruppo simile, le problematiche aumentano. Non ho studiato leadership, vado avanti in base a quelle che sono le mie conoscenze. Per me, alla base c’è sempre il rapporto con le persone, non col calciatore, col medico, col fisioterapista. Faccio l’allenatore non sono un allenatore. Mi piace avere un rapporto di pari livello. Mi piace comunicare, ma anche ascoltare. Tantissimi giocatori mi hanno dato idee straordinarie su come giocare. Non voglio stare sopra ma neanche un centimetro sotto, allo stesso livello che sia Cristiano Ronaldo o l’ultimo dei magazzinieri. In un gruppo di lavoro è fondamentale che tutti siano coinvolti. Devi avere la capacità e la forza di delegare.

Grandi club, quale il più duro emotivamente?

«La maniera di allenare non cambia. Sia che sia il Real Madrid una squadra di terza divisione. Il lavoro è sempre quello, relazionarsi con le persone, la metodologia di lavoro, motivare quelli che lavorano con te. Quello che cambia è il contorno, riferito agli obiettivi che ha il club e la pressione. A livello di pressione il Real Madrid è il numero uno per distacco. L’esperienza più bella? Non saprei. Sono state tutte belle, indimenticabili. La classifica è legata al periodo di permanenza Al Milan sono stati otto anni. Adesso voglio battere questo record col Napoli. Mi sono fatto un autoassist».

Giovani

«Il calcio italiano sta esprimendo ottime cose, la Nazionale sta puntando molto sui giovani, sta facendo ottime cose. Stanno nascendo ottimi giocatori in tutti i ruoli, con ottimo potenziale. Ottimi portieri, ottimi difensori, centrocampisti non ne parliamo. Fino a qualche anno fa si parlava di carenza. Credo che otterremo dei frutti con la Nazionale, sicuramente».

Calcio femminile

«Siamo indietro. Vado spesso in Canada, l’ultimo Mondiale femminile si è svolto lì, c’è stata partecipazione incredibile della gente, lì ci sono molti tesserati. In Italia abbiamo fatti passi in avanti, il campionato è sempre più interessante anche grazie alla televisione. Si migliorerà ulteriormente, anche se la differenza con altri Stati è a livello culturale, altrove sono molto più avvantaggiati».

Il rapporto allenatore-società 

«Il binomio società allenatore è una componente molto importante, è fondamentale la sintonia tra le due componenti. Non importa che la proprietà non sia presente. Ho trovato presidenti presenti e presidenti distaccati, l’importante è che la linea dela società sia chiara e che ci siano interpreti di questa linea . Per un allenatore è importante che la società sia dietro di te fino all’ultimo giorno. Poi la società ha l’obbligo di giudicare l’allenatore. È sbagliato continuare quando non c’è sintonia, perché vai a creare una crepa che ti può creare dei problemi».

Vigilia di una finale di Champions

«Nelle partite importanti sai per certo che i giocatori daranno il 100%. Io sento le partite importanti più di altre partite, per i  giocatori è lo stesso. L’importante è non mettere eccessiva preoccupazione, eccessivo timore. Quello che frena, come in tutte le cose, è l’ansia e la paura. Non tanto la preoccupazione che vorrebbe dire occuparsi prima del problema. Come si fa a eliminare l’ansia? Se vado a fare un esame che non so un tubo, me la faccio addosso; se sono preparato, mi sento convinto e motivato. La mia chiave è quella di spiegare ai giocatori molto chiaramente quello che devono fare sul campo. Devono avere le idee chiare di quello che dovranno fare in campo. Meno parli degli avversari, meglio è. Soprattutto se gli altri sono giocatori forti. Se gli dici “guarda che devi marcare Messi”, a quello sicuramente gli viene l’ansia. Meno parli dell’avversario, meglio è. Le spiegazioni devono essere costruttive, non distruttive. L’ho imparato sulla mia pelle. Sacchi era un allenatore formidabile proprio per questo, ti spiegava per filo e per segno quello che ti chiedeva. Se c’è il coinvolgimento del calciatore, tanto meglio.

 

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