INSTABILITÀ DI UN POTERE… SCARSA TUTELA PER I CITTADINI

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Non c’é requiem non solo per la Sanità e altri ambiti del diritto e del “vivere in civiltà”, ma anche in quello rappresentato dal primo dei tre Poteri all’interno di una nazione (la nostra), ossia il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) che, come è noto, è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ente supremo che da settimane è nell’occhio del ciclone, e che nulla lascia presagire una qualsivolglia serena definizione e sicurezza per cittadini, compreso lo scrivente che tanto si indigna quando viene a conoscenza di fatti e misfatti perpetrati dalle pubbliche Istituzioni che turbano la serenità di tutti… Ma al di là dei fatti di cronaca che ci aggiornano su un vespaio che si trascinerà ulteriormente tra indagini, accertamenti, verifiche e provvedimenti; senza trascurare nel contempo i non pochi episodi di continue carcerazioni e anche di errori giudiziari, ritengo sia utile per tutti i profani rievocare alcuni concetti in merito a questa Istituzione giuridica e, per questo, ripropongo parte di una vecchia intervista che feci nel 1997 all’avvocato senese Agostino Viviani (1911-2009), per oltre mezzo secolo autorevole penalista, principe del Foro milanese, membro laico del CSM, eccellente comunicatore e scrittore del quale conservo un caro ricordo di stima e ammirazione, avendo avuto l’onore di recensire una sua conferenza e tre sue pubblicazioni in materia giuridica. Tra le domande dell’intervista (pubblicata dall’allora periodico “Vento Sociale”) cito le seguenti.

Avvocato Viviani, cosa significa essere membro del Consiglio Superiore della Magistratura?

“Significa far parte di una Istituzione che ha il fine di garantire il valore essenziale della indipendenza del giudice dai poteri dello Stato. In un paese civile e moderno è indispensabile avere giudici che nel rendere giustizia, siano liberi da ogni vincolo di qualunque tipo. Questo, però, non significa che il giudice possa fare quello che vuole, ma piuttosto che è soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.). A questo fine, la Costituzione stessa ha creato il CSM (art. 104) con il proposito, da un lato di difendere l’indipendenza dei magistrati, e dall’altro di attribuire al Consiglio la delicata materia delle “assunzioni”, dei “trasferimenti”, delle “promozioni” e dei “provvedimenti disciplinari”. È questa ampiezza di poteri che ha indotto a parlare di autogoverno della Magistratura, dando così l’impressione dell’esistenza, nello Stato, di una cooperazione indipendente dallo Stato stesso. È una impostazione erronea. Basti dire che i provvedimenti assunti dal Consiglio, relativi alla carriera dei magistrati, debbono rimanere nei limiti segnati dalle “norme dell’ordinamento giudiziario” (art. 105) e sono impugnabili di fronte al tribunale amministrativo. Se davvero si trattasse di un organo di autogoverno dovrebbe essere costituito da soli magistrati; invece, su 30 membri eletti, 10 non sono magistrati. Inoltre, il Presidente del Consiglio è il presidente della Repubblica e il vicepresidente dev’essere scelto tra i componenti non magistrati (i cosiddetti laici, ndr.)”
In oltre mezzo secolo (dall’epoca del “Codice Rocco”), cosa e quanto è cambiato nel mondo della magistratura?

“L’indipendenza ottenuta dalla magistratura non mi pare abbia portato seri cambiamenti positivi nel “mondo della magistratura”. Il mutamento consistente concerne il trattamento economico della categoria. Come pure non mi sembra ci sia una elevazione del livello culturale. Ora, tutti i magistrati, se non ne combinano delle grosse (talvolta nonostante questo), raggiungono le maggiori qualifiche (ad esempio: presidente di Sezione di Cassazione) anche se, in effetti, continuano a svolgere diverse funzioni in merito. Un cambiamento certo, e per nulla positivo, è che molti magistrati, anche se si pongono come obiettivo la giustizia, non tollerano di dover sottostare ai limiti imposti dalla legge. In materia di misure cautelari (specialmente personali), la violazione di legge è quotidiana e non sono valsi ad evitarla neppure gli interventi legislativi. Nel complesso, i cambiamenti “in oltre mezzo secolo” (precisamente dall’epoca del “Codice Rocco”) non mi sembrano degni di considerazione positiva”

Con la riforma del Codice di Procedura Penale voluta da Vassalli e Pisapia, che nel suo volume ritiene di essere stata “tradita”, quali i vantaggi e gli svantaggi per la persona indaga?

“Ai tempi in cui scrissi “Una riforma tradita” ravvisavo il tradimento nell’aver dato vita ad un codice che, nonostante le promesse, non riusciva a sostituire il sistema inquisitorio con quello accusatorio. Il sistema vigente non è più neppure quello del nuovo codice la cui normativa viene usata come fragile paravento, per attuare un sistema né accusatorio né inquisitorio, ma piuttosto soltanto poliziesco. Il vanto del nuovo codice era quello di aver abolito la fase istruttoria, secondo cui la raccolta delle prove, anche se durata anni, era affidato esclusivamente al magistrato. Il nuovo codice, invece, almeno sulla carta, aboliva l’istruttoria e pretendeva che essa fosse svolta davanti al giudice, nel contraddittorio delle parti. Tuttavia, consentiva al Pubblico Ministero (PM), cui spetta l’iniziativa penale, di compiere le indagini preliminari al fine appunto di esercitare la detta azione. Ma la costruzione era così male organizzata che le indagini prelimimari si sono poi tramutate in un’istruttoria condotta dall’accusa in lungo e in largo, con ampi poteri, senza alcun controllo e con ampia delega alla polizia giudiziaria; così la vecchia istruttoria, al confronto, impallidisce. Si pensi, ad esempio, all’uso delle intercettazioni, in particolare quelle ambientali, per di più usate con estrema disinvoltura. Si sono avuti casi in cui la microsospia è stata posta persino nella camera da letto. Si è instaurato così un autentico sistema poliziesco, sciolto dalla normativa processuale, tale da poter dire, parafrasando il titolo di un libro: “C’era una volta il codice…”.

Come e in che misura ci si può rivalere nei confronti di un PM che ha emesso un’ingiusta condanna?

“Purtroppo non c’é una legge sulla responsabilità civile del magistrato, nonostante che in materia ci sia stato un referendum approvato a grande maggioranza che imponeva l’intervento del legislatore. Tuttavia la corporazione della magistratura si è opposta con tale forza che il Parlamento si è ridotto ad emanare una legge che (contravvenendo alla volontà popolare) ha escluso la responsabilità diretta del magistrato. La persona offesa dall’azione o dall’omissione potrà avanzare le sue lamentele soltanto nei confronti dello Stato che, poi, se lo riterrà opportuno, agirà contro il magistrato. Un’ipotesi che non si è mai verificata. Così che il nostro sistema ha questa anomalia: il magistrato, e cioé un soggetto munito di un potere incisivo, non risponde di ciò che fa neppure nei casi di colpa grave; risponderà nell’ipotesi di dolo solo se il fatto costituisce reato. È inconcepibile, ma è così. Quindi, per riferirmi all’esempio della domanda che mi ha posto, non c’é alcuna possibilità per l’indagato o l’imputato, poi pienamente assolto, di rivalersi nei confronti del magistrato. Il C.P.P., pur “salvando” il magistrato, dedica due norme alla “riparazione per l’ingiusta detenzione “ (artt. 314 e 315). Infatti, nel caso di proscioglimento con sentenza irrevocabile e con formuòla ampia, chi ha subìto una detenzione palesemente ingiusta “ha diritto ad un’equa riparazione” (concetto, da notare, diverso da quello di risarcimento del danno), ma il diritto è subordinato alla condizione che il richiedente non abbia concorso ad originare il provvedimento restrittivo “per dolo o colpa grave” (…)”

 

Quanto può influire l’appartenenza ad una corrente politica di un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni?

“Questo è un problema di coscienza. In teoria dobbiamo o vogliamo presumere che l’appartenenza del magistrato ad una corrente o ad un partito non abbia alcuna influenza. Nella pratica, però, le indagini sono state orientate e condotte nei confronti di persone appartenenti a certe forze politiche, trascurando altre di diverso colore. Eppure sappiamo (con certezza) che, almeno in un certo periodo storico, tutte le forze politiche si sono finanziate illecitamente. Rinunciare a scoprirlo è contro la legge e significa bollare la giustizia di parzialità”

La carenza culturale in materia giuridica, può “compromettere” il benessere e la democrazia del nostro Paese?

“Indubbiamente al Paese occorrono magistrati colti. Penso, tuttavia, che la sfiducia nella giustizia, oggi così diffusa, non dipenda tanto da mancanza di cultura, quanto dalla tendenza a volere ignorare la legge per raggiungere quel fine ritenuto corrispondente a verità. Di frequente si osservano interpretazioni anche aberranti, pur di raggiungere un certo fine”

Cosa consiglia al cittadino comune che si imbatte nelle strutture?

“La grande maggioiranza dei cittadini non si interessa di come la magistratura svolga la sua funzione. Si ritiene che all’onesto non possa capitare di essere coinvolto in questioni per cui si possa mettere in dubbio la probità; ma purtroppo non è così, come gli osservatori meno disattenti possono facilmente constatare. Ed allora il suggerimento da dare è semplice. Dobbiamo tutti interessarci dei problemi della giustizia per fare sentire ai magistrati che l’opinione pubblica li segue e li controlla. È consigliabile aderire ad associazioni che si occupano di questi problemi e, soprattutto, seguire la vita politica, osservare quali forze in Parlamento si pongono i problemi della giustizia e come propongono di risolverli. Tra l’altro l’adempimento di questo dovere è reso più facile dal fatto che giornalmente, attraverso la televisione, la radio e la stampa si apprende, da un lato come l’organizzazione giudiziaria si comporta e, dall’altro, come le forze politiche reagiscono di fronte ad ingiustizie, talvolta clamorose. Se il Parlamento lascia che l’attività giudiziaria non solo violi la legge, ma addirittura intervenga quasi a dettare legge, il cittadino deve preoccuparsi e prepararsi a togliere la sua fiducia a quelli eletti che dimostrano di essere succubi della magistratura”.

Ritengo che questa “rievocazione” rispecchi in gran parte l’attuale realtà tanto che è bene far tesoro della obiettività e saggezza di un illumninato, quale è stato l’avvocato Viviani, che ha lasciato ai posteri la sua esperienza e i suoi contributi letterari, quali “La degenerazione del processo penale in Italia” (Ed. Sugarco, 1988), “Il nuovo codice di procedura penale: una riforma tradita” (Ed. Inf. Commenti, 1989), e il saggio “La chiamata di correo nella giurisprudenza” (Giuffré editore, 1991). A sostegno di tanta saggezza ritengo oltremodo utile rammentare quanto sosteneva il politico e avvocato Piero Calamandrei (Firenze 1889-1956): «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra». E, più personalmente, aggiungo che il previsto (e perpetuo) impoverimento degli “effetti giustizia”, ancora oggi sta a sottolineare come il legislatore, quando promulga una nuova disposizione di legge, fa come quell’elefante che, calpestata una quaglia, cercò di rimediare sedendosi sulle uova dell’uccello per tenerle calde.

Nella foto di repertorio l’autore dell’articolo a colloquio con l’avv. Viviani; la foto in basso è tratta da Il Fatto Quotidiano

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