Dario Fo e ‘Johan Padan’, il monologo su Colombo in scena a Lisbona

Dario Fo e ‘Johan Padan’, il monologo su Colombo in scena a Lisbona

Mario Pirovano, per 40 anni accanto al maestro e Franca Rame, porta lo spettacolo al Festival di Almada. “In giro per il mondo sono molto più rappresentati che da noi”

di ANNA BANDETTINI

La Storia prima o poi presenta sempre il conto e i vandalismi delle scorse settimane, in Usa, contro le statue di chi ha usato violenza contro i popoli indigeni, per quanto inutili e disdicevoli, sono il sintomo di un rabbia atavica mai sopita, e di un torto mai dimenticato. Tra i più bersagliati, almeno in Usa, c’è stato il “nostro” Cristoforo Colombo, che anche secondo la Storia, non era proprio il paladino che ci hanno insegnato a scuola. A smitizzare lo scopritore dell’America ci avevano pensato già Dario Fo e Franca Rame, con un testo Johan Padan a la descoverta de le Americhe divertente ma anche drammatico proprio per la denuncia che fa delle violenze perpetrate dai conquistatori contro i nativi. Quello spettacolo da noi non si vede da anni, ma lo mantiene in vita un attore, il solo allievo diretto di Dario Fo e Franca Rame, 37 anni passati accanto ai due “maestri”, Mario Pirovano, l’unico artista italiano invitato proprio con quel lavoro dal più importante festival teatrale portoghese, il Festival di Almada, dove è ospite dal 15 al 19 luglio. “Sarà lo spettacolo più attuale del momento – scherza Mario Pirovano che reciterà nella lingua di Fo, ritradotto in portoghese – Dario scrisse e mise in scena il Johan Padan nel ’91, in occasione del V centenario del viaggio di Cristoforo Colombo”.

Cosa racconta?
“Fa riferimento alla quarta e ultima traversata in America di Colombo, ma vista dagli occhi dei marinai, in particolare di uno, Johan Padan, un contadino delle valli bresciane e bergamasche che per varie vicissitudini era dovuto scappare, prima dai lanzichenecchi poi dalla Serenissima, e si ritrova suo malgrado imbarcato per le Americhe. Il suo sguardo ingenuo è testimone di tutte le violenze perpetrate sui nativi per portare oro e altre ricchezze di quelle terre in Europa e per assoggettare quelle popolazioni. Perché quello in America e Sud America fu uno dei più terribili massacri della storia. Si parla di 70 milioni di uomini e donne, indios, nativi, annientati. Dario seppe raccontarlo con la sua capacità affabulatoria, l’immaginazione, l’ironia, in uno spettacolo che è stato visto in tutto il mondo”.

Dario Fo nel ’63 aveva già scritto Isabella tre caravelle e un cacciaballe dove sempre Colombo era dipinto come un mezzo imbroglione.
“Io credo che Dario volesse dire che lì è cominciato tutto, che quello che Colombo incarna è il peccato originale dell’Occidente: il non riconoscimento degli altri per dirla con le parole di Padre Balducci, un vulnus che ciclicamente torna”.

Sarà un bel modo di rappresentare l’Italia a Lisbona, no?

“Sono felice soprattutto di essere in un Paese dove governo di sinistra e opposizione di destra si sono uniti per uscire dalla pandemia, non si sono fatti la guerra come da noi. A Lisbona il centrodestra all’opposizione ha dichiarato al governo ‘collaboreremo con voi perché ciò che conta è il Paese’. Quando mai sentiremo queste cose da noi?”.

Come è arrivato a diventare l’attore-allievo prediletto di Dario Fo e Franca Rame?
“Nell’83 lavoravo a Londra, Dario e Franca vennero a fare Mistero Buffo. Con un amico andai a  vederli a un incontro in cui tra l’altro aiutai Dario con la traduzione. Lui per ringraziarmi mi invitò a teatro. Furono due ore e mezzo di risate, tornai tutti i giorni a vederli, finché decisi di seguirli. Per anni nella loro compagnia ho fatto di tutto, il tecnico, la comparsa, poi una volta per caso ho iniziato a recitare Mistero Buffo e scoprii di saperlo a memoria. Da lì non ho più smesso”.

Dario Fo e Franca Rame all’estero sono sempre molto amati?

“A parte la fase del Covid, Morte accidentale di un anarchico è appena stato presentato a Sidney, Non si paga nel nord Europa. In giro per il mondo sono molto più rappresentati che da noi”.

Articolo pubblicato su La Repubblica il 15 luglio 2020.