PIÙ CHIARIMENTI SULLE VACCINAZIONI ANTI COVID

L’incertezza va di pari passo con il diritto dell’astensione temporanea, ma anche quello di umanizzazione ampliato dalla vicinanza “diretta” dei famigliari ai propri cari ammalati.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

Siamo giunti al primo anniversario di questa pandemia che ci ossessiona, disturba i nostri sonni e ci rallenta ogni sorta di speranza per il futuro, che lo si voglia ammettere o meno. In questo anno, giorno dopo giorno, si è scritto moltissimo di tutto e di più, ma quanto e cosa si è letto? E soprattutto cosa si è capito? È pur vero che tutti hanno bisogno e diritto di farsi una o più opinioni su una realtà che sta sconfinando sempre più, ma è altrettanto vero che non è stato e non è facile comprendere e discernere una notizia-informazione di tipo medico-sanitario, specie se strettamente tecnico-scientifica e in particolare se non si è addetti ai lavori. Di questo virus si è “forse” compreso parecchio ma credo non abbastanza, mentre sono chiare a tutti le conseguenze che si sono venute a creare: dalla molteplicità dei casi colpiti dalla malattia virale con le più svariate sequele fisiche e psicologiche al drammatico crollo dal punto di vista economico-finanziario. Di conseguenza si sono susseguiti moltissimi provvedimenti legislativi e procedurali (compreso il cambio di Governo) per contenere il fenomeno, con particolare impegno per lo studio e la ricerca al fine di realizzare questi “benedetti” vaccini,  per i quali si sono attivati non pochi Centri di Ricerca e diverse Case farmaceutiche, quasi in concorrenza costante (come fosse una corsa all’oro) alimentando il giro d’affari che a tutt’oggi ha superato svariate decine di miliardi di euro… e siamo solo all’inizio! Ora, a parte il dilemma della altalenante recrudescenza di casi (nuovi infetti, guariti e decessi), una costante riguarda la disponibilità (più o meno) dei vaccini e di quante e quali fasce di popolazione (priorità di vari tipo), e in quali tempi, si possono vaccinare. Inoltre, in questo bailamme organizzativo-procedurale è complice la disomogenea ed incomprensibile informazione per cercare di capire se affidarsi al vaccino prodotto da una Casa farmaceutica piuttosto che a un’altra, tanto che sono ancora molte le persone (compreso chi scrive) disorientate e alquanto insicure. Va da sé che la proposta e/o la prescrizione di un farmaco, a maggior ragione di un vaccino, debba avere una indicazione non solo ben precisa ma possibilmente univoca per tutelare la collettività intera (immunità di gregge), come nel caso delle epidemie e delle pandemie, pur considerando le eccezioni che riguardano, ad esempio, pazienti con patologie pregresse soprattutto se di carattere autoimnune. Personalmente, come ho già raccontato più volte, ho vissuto “l’esperienza” del paziente covid e, anche per questa ragione, pur essendo un fautore delle vaccinazioni (tra l’altro, per ragioni di età, non ho fatto in tempo a fruire del vaccino antipolio Sabin… con l’ovvia conseguenza patologica), ho qualche remora a sottopormi alla vaccinazione contro il coronavirus perché, mi è dato a sapere, che sono ancora diversi i pareri se vaccinare anche chi è guarito. Quindi anche questa è una incertezza che disorienta alquanto, e di conseguenza non si può pretendere di dare una serena adesione…! Con tutto ciò non intendo demonizzare alcuno ma invitare i politici-decisori di trovare quanto prima una linea comune con gli esperti della scienza medica, ed evitare quindi il ricorrente fenomeno delle due fazioni: vaccinarsi sì, vaccinarsi no. Senza voler peccare di presunzione, personalmente ha poca rilevanza al momento chi mi volesse dissentire, in quanto resta innegabile il mio diritto (e di quanti vivono nell’incertezza) di avere maggiori e inconfutabili garanzie sulla efficacia e sulla sicurezza di un vaccino (qualunque sia la produzione) che al momento, ripeto, per me non sono sufficientemente dimostrabili. Non me ne vogliano, dunque, chi si sta prodigando per il bene comune ai quali esprimo il mio ideale sostegno proprio perché raggiungano il massimo degli obiettivi, e con essi l’appagamento dei loro sforzi che, bene inteso, non devono essere finalizzati soltanto al profitto. Resto quindi in attesa di poter ricevere quelle poche gocce nel momento più opportuno, anche perché tutto sommato credo ancora nella scienza medica e nella ricerca, come ho creduto in quella degli autorevoli scienziati A. Sabin e J. Salk. Ma questa è un’altra storia… sia pur, per certi versi, non molto dissimile.

Ma un altro aspetto non meno importante è da rilevare. Ben poco si divulga la “carenza” di umanizzazione nei reparti Covid per il fatto che i malati ricoverati non possono ricevere la visita di un loro famigliare, con la motivazione della incolumità generale e del visitatore in particolare. Premesso che potrebbero essere facilmente attuabili gli opportuni accorgimenti protettivi, è di fondamentale importanza il rapporto umano diretto con i propri cari perché è durante il corso della sofferenza (ancorché aggravata dall’incertezza), che la vicinanza affettiva assume un sostegno altamente psicologico che, peraltro, il più delle volte agisce anche come “complemento” alla terapia medica. Se è vero che al medico è richiesto di essere anche un po’ filosofo, ossia depositario di una cognizione globale della vita e del modus operandi, che peraltro avviene, è altrettanto vero che al paziente devono essere riconosciute e garantite quell’attenzione e vicinanza che, il più delle volte, possono essere espresse con un sorriso e una carezza a diretto contatto. Bene inteso. Apriamo quindi le porte dei reparti Covid ai famigliari affinché possano abbracciare continuamente (o per l’ultima volta) i propri cari… e forse anche in questo modo il virus può essere combattuto… o quanto meno allontanato. Del resto, come sosteneva Seneca: «Nulla giova di più ai malati che l’essere curati da quello che vogliono».

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