27 Mag 2021

La cura: un’avventura, un impegno, un’opportunità

La cura può essere una missione spirituale nobile e poetica, ma può anche presentare lati più oscuri – dalla frustrazione al logorio fisico e mentale – se tradotta nella quotidianità. Eppure rimane fondamentale per il funzionamento della comunità, oltre a essere un'opportunità di relazione e di introspezione, come sottolinea Patrizia Ottone, socia di Spiritualità del Creato, laureata in filosofia e insegnante di yoga.

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Cosa pensiamo quando pensiamo alla cura? Torna in mente la canzone di Battiato, il cui testo di grande bellezza parla di promesse di guarigione, del percorrere vie che portano all’essenza. Parole che ci fanno bene, che rimandano alla cura di sé, al dialogo amoroso dell’anima con se stessa.

Esiste però un’altra realtà della cura, con la sua materiale quotidianità, meno attraente, ma altrettanto essenziale.  La cura materiale di tutti i beni che rendono possibile il nostro vivere: il cibo, la salute, i servizi, tutto ciò che durante la pandemia abbiamo chiamato attività essenziali. Questo tipo di cura richiede spesso lavori faticosi e poco riconosciuti sia economicamente che socialmente, svolti spesso da persone immigrate e, nel caso della cura delle persone, svolti da donne. E oltre al lavoro retribuito, esiste il lavoro gratuito di cura della famiglia, che ancora oggi qualcuno ritiene assegnato per natura alle donne.


Perché, in questo senso, la cura ci appare meno attraente e promettente? La cura muove passioni contrastanti. Anche quando scegliamo per amore di occuparci di un figlio o di una figlia piccoli o di un genitore anziano non autosufficiente, la cura stravolge le nostre priorità, mette in secondo piano i nostri bisogni e a lungo andare può generare amarezza, rabbia, e perfino risentimento. Come se quei gesti necessari per l’altro sottraessero a noi spazi di vita.  E se chi vive questa esperienza è una donna, a questi sentimenti si aggiunge il timore di essere ricacciata nel privato, nei confini ristretti della relazione con chi ha bisogno di cura. 

Come ci si può liberare da queste passioni tristi? Come integrare l’amorevolezza verso l’altro con il fiorire del sé? Esiste la possibilità di educare ed educarsi a una cura buona che non mortifica, ma accresce il sé e apre all’azione creativa nel mondo? La filosofa Elena Pulcini, che ha dedicato anni di riflessione all’etica della cura, ci esorta a lavorare sulle nostre passioni. Esse non sono immodificabili, si possono correggere e indirizzare ai fini creativi dello sviluppo personale e sociale. Liberata dal peso del dovere, la cura può diventare un’occasione di conoscenza di sé, che ha il suo motore nella relazione con l’altro. Nella relazione possiamo conoscere ed educare le passioni, incoraggiando quelle che accrescono la nostra forza vitale e contenendo quelle che la diminuiscono.

Tra Cura e Giustizia
Le passioni come risorsa sociale
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Prenderci cura delle nostre passioni non è solo un esercizio di sviluppo personale. Pulcini ci invita a liberarci dall’idea che le passioni siano qualcosa di privato: esse non sono solo in noi ma sempre anche tra noi, e dunque hanno un effetto sulle nostre relazioni. Adeguatamente guidate, le passioni possono diventare una risorsa sociale al servizio della giustizia e della trasformazione del mondo.

La proposta di Pulcini mostra sorprendenti punti di contatto con quella di Fox. Per entrambi il passaggio nodale per avviare il cambiamento risiede nel riconoscimento della nostra vulnerabilità e nel riuscire a vedere nella fragilità dell’altro la stessa fragilità presente in noi e comune ad ogni vivente. Sulla vulnerabilità si basa l’interrelazione di tutti i viventi, che Fox chiama “terrestrità” e associa al contatto con la terra, radice umile e vulnerabile da cui prendono vita le possibilità di espressione e alleanza tra gli esseri viventi.

la cura

La consapevolezza di quanto sia precaria la nostra autonomia sposta l’attenzione dal singolo alla comune umanità, nella quale ciascuno di noi si percepisce come elemento di una rete di relazioni e interdipendenze. Da questa prospettiva le pretese dell’ego perdono un po’ di consistenza mentre la posizione di chi si prende cura dell’altro acquista una nuova dignità e un nuovo significato.

Emerge il valore cruciale della compassione, passione etica e sociale, che è la capacità di provare dispiacere per la sofferenza dell’altro, l’essere toccati dal patire dell’altro e a partire da questo, sentire la spinta a fare qualcosa. “La compassione riguarda le azioni che fluiscono da noi come risultato della nostra interdipendenza”, scrive Fox; essa è il contenuto morale della nostra interconnessione e ha come esito creativo la ricerca della giustizia attraverso l’impegno comune.

Intorno alla cura affiora allora un possibile percorso evolutivo personale e collettivo insieme. Si può guardare dentro il buio delle quelle passioni meno confessabili – come la rabbia, l’amarezza e il risentimento – suscitate dalla cura vissuta come sacrificio e oblio di sé, per scoprire la possibilità di prendersi cura delle proprie emozioni fino a espandere il sé e aprirsi alla trasformazione, verso la sfera politica (secondo Pulcini) e verso quella cosmica (secondo Fox). Per tornare al testo di Battiato, allora non è detto che la cura debba tarpare le ali, ma davvero “più veloci di aquile i miei sogni attraversano il mare”.

Bibliografia: Elena Pulcini. Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, Bollati Boringhieri, 2021; Matthew Fox. La spiritualità del creato. Manuale di mistica ribelle. Gabrielli Editore. 2016

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