18 Ott 2021

Green pass, ecco le nostre opinioni: libere, rispettabili e aperte al confronto

In questi giorni di grande tensione dialettica ma anche reale, quotidiana, palpabile, Italia Che Cambia vuole proporsi come una casa sicura in cui poter esprimere le proprie opinioni senza paura di essere assegnati a una squadra o a un'altra, con l'obbligo poi di battersi come gladiatori in un'arena. L'obiettivo? Riempire il silenzio assordante che accompagna l'introduzione del green pass con un confronto che da troppo tempo manca nel nostro Paese e che troppi danni sta provocando.

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Green pass: parliamone

La settimana scorsa, a poche ore dall’entrata in vigore del green pass di fatto obbligatorio per milioni di lavoratori e lavoratrici, c’è stata un’impennata nel ritmo di rilascio delle certificazioni verdi, soprattutto di quelle rilasciate a fronte di un tampone negativo. Al tempo stesso, sono state centinaia in tutta Italia le manifestazioni di persone contrarie a questa forma e in generale alle misure adottate dal Governo per gestire questa fase della pandemia.

In questo clima di mobilitazione, di incertezza, di opposte fazioni, di informazioni parziali ed errate, la redazione di Italia Che Cambia sente il bisogno di contribuire alla creazione di un dibattito reale sul grande tema Covid che, come abbiamo visto nei mesi passati, ha la capacità di toccare i nervi scoperti della nostra epoca – dalla crisi ambientale alle carenze del sistema sanitario, dalla volatilità delle relazioni al ruolo ormai negletto in cui è stata relegata l’istruzione – esacerbandone sintomi e cause.

Crediamo che le misure stesse introdotte con lo scopo di contenere la curva dei contagi avrebbero potuto – anzi, dovuto – essere accompagnate da un confronto serio in seno alla società civile, che consentisse ai suoi attori – cittadini, istituzioni, mondo scientifico, terzo settore, imprese – di sedere allo stesso tavolo e di concordare azioni condivise e ragionate. Al tempo stesso nutriamo forti dubbi sulla narrazione che ha accompagnato gli ultimi mesi, che è stata spesso eterodiretta, spettacolarizzata e ha provocato – consapevolmente o inconsapevolmente – divisioni radicali che hanno sfilacciato il già logoro tessuto sociale del nostro Paese.

Per tutti questi motivi, abbiamo pensato di dare voce alle persone che quotidianamente lavorano dietro le quinte di Italia Che Cambia per garantirvi quotidianamente un’informazione libera e plurale, critica e costruttiva, chiedendo la loro opinione in merito al green pass e, in generale, all’epoca che stiamo attraversando.

green pass obbligatorio

Daniel

«Di mestiere faccio il giornalista e sono il Direttore Responsabile di questo giornale», scrive Daniel Tarozzi. «Sento la necessità viscerale di raccontare, comprendere, interpretare questo momento storico fuori dagli approcci conflittuali che stanno spaccando la nostra società eppure faccio un’enorme fatica a trovare un approccio totalmente oggettivo e un contenuto che possa davvero portare arricchimento al dibattito che infuria nel Paese. Mi rattrista vedere i “sì vax” inondare di odio i “no vax” e quest’ultimi – in molti casi – non saper distinguere tra pensiero critico e leggende metropolitane, tra legittime perplessità e teorie del complotto. Mi rattrista vedere chi si è vaccinato invocare cure a pagamento per chi non si è vaccinato… Mi chiedo se per queste persone, chi fuma non andrebbe curato se dovesse incorrere in un tumore, chi mangia zuccheri, per il diabete e così via. Mi strazia essere consapevole di come tutto questo dibattito-scontro poteva essere evitato, se non si fossero applicate norme liberticide completamente irrazionali e uniche in Europa».

«Però, qualcosa mi sento di dirlo, come giornalista e come cittadino. Dopo mesi in cui ci hanno costretto a indossare “la mascherina” anche all’aperto, magari in spiaggia o tra i monti, in cui si poteva andare in bagno solo con la mascherina, ma stare seduti ai tavoli senza, in cui si è asserito che “la salute viene al primo posto” in un Paese in cui in nome del lavoro non si chiude l’ex-Ilva che miete vittime da decenni, in cui si emette Co2 nonostante i cambiamenti climatici e in cui le associazioni di categoria si ribellano – ascoltate dal governo – quando finalmente arriva una legge a porre un bando all’usa e getta, possiamo dire che è demenziale chiedere il greenpass per entrare in un “museo all’aperto”? Perché devo seguire una norma quando è palesemente stupida? Perché in Chiesa posso andare senza “pass” e in un parco o in una manifestazione all’aperto devo averlo? Perché devo avere tutti questi obblighi se le percentuali di vaccinati sono in linea con paesi senza obblighi? Perché devo far vaccinare un dodicenne o un ventenne, che non ha alcuna possibilità o quasi di morire di Covid? Perché se il vaccino funziona, chi è vaccinato deve stare con la mascherina? Perché i teatri e la cultura hanno subito le norme più spietate? E soprattutto… Come mai in un Paese in cui la Sanità è stata costantemente al centro di scandali, sangue infetto infuso per trasfusioni, farmaci e cesarei prescritti senza criterio e così via, io dovrei avere fiducia nelle istituzioni quando mi dicono che un vaccino è sicuro? E come mai il vaccino è privato?».

«Caro Stato, se vuoi convincermi a vaccinarmi usa la scienza, apri un dibattito serio con la parte più sana e costruttiva di chi ti critica, smetti di colpevolizzare chi ha paura e abbi il coraggio delle tue certezze. Quando il segretario del PD afferma che dare i tamponi gratuiti è come fare un condono, dimostra non solo che dietro al green pass si nasconde la codardia nel non voler dichiarare il vaccino “obbligatorio”, ma anche come si considerino criminali milioni di cittadini che non hanno violato la legge. Uno Stato che non ha il coraggio di ascoltare la propria cittadinanza è uno Stato che non merita la mia fiducia e men che meno la mia sudditanza. Io penso con la mia testa. Sarà pur limitata, ma è la mia. Invoco, fortissimamente invoco, un dibattito aperto, vero, costruttivo e rispettoso delle diverse posizioni, su queste tematiche, in cui si parli di prevenzione, di alimentazione, dell’importanza di far stare i bambini all’aperto anziché al chiuso e così via. Un dibattito in cui nessuno esprima odio o disprezzo per l’altra parte. Un dibattito in cui non ci sia che la galera per gruppi di fascisti che assaltano questa o quella sede, ma che ci sia una disperata voglia di capire chi – magari proprio vivendo o lavorando accanto a me – sta facendo scelte mosse dalla paura o dal dubbio. In un senso o nell’altro».

green pass milano
Manifestazione a Milano

Valentina

«Cosa vuol dire, davvero, ascoltarsi oggi?», si chiede Valentina D’Amora, caporedattrice di Liguria Che Cambia. «Quello entrato in vigore venerdì è un provvedimento politico che è riuscito ulteriormente a dividere e frantumare una popolazione già stanca, lacerata e confusa. Queste sono giornate in cui si ingarbugliano menti e pensieri, si mescolano diritti con doveri, salute e sanità, libertà e dittature. Quello che appare ora? Muri sempre più alti, con verniciate due parole semplici e brevi, di sole tre lettere, che sembrano guardarsi allo specchio mentre si puntano il dito, l’uno contro l’altro: Noi, Voi. Dietro questi muri vedo persone che sembrano voler parlare solo ai componenti della propria palizzata, disprezzando i “rivali”».

«In una situazione storica senza precedenti e che da ormai un anno e mezzo sta mettendo alla prova la vita di tutti, trovo che la comunicazione e l’informazione meriterebbero una cura e un’empatia decisamente diverse, da parte sia di chi lavora nei media che di chi prende decisioni che riguardano la vita quotidiana dell’intera collettività. Per questo mi chiedo cosa significhi ascoltarsi oggi o se ce ne siamo dimenticati del tutto. Al presente, quello di cui tutti “Noi” abbiamo davvero bisogno è di andare oltre e di resettare. Torneremo un giorno ad ascoltarci davvero?».

Paolo

È la volta di Paolo Cignini, presidente di Italia Che Cambia: «Quando penso a questo periodo storico, mi viene in mente l’immagine di me e Daniel a Taranto, durante il viaggio di “Io Faccio Cosi”. Alessandro Marescotti della rivista Peacelink,a cui va il merito di aver fatto luce sulla vicenda, ci aveva suggerito di farci un giro al Quartiere Tamburi, sede dell’ex-ILVA. Per capire cosa stesse succedendo, ci suggerì il contatto di un ex operaio della fabbrica che aveva poi dovuto lasciare il lavoro per motivi di salute: ci descrisse ogni pezzo della fabbrica e le sue relative funzioni e nonostante avesse seri problemi a causa di essa, aveva comunque deciso di comprare casa vicino alla struttura. Per controllarla meglio. Come lui, altre migliaia di persone hanno subito lo stesso destino: chi ha avuto la fortuna di sopravvivere, ovviamente. Come loro, migliaia e migliaia di familiari e di abitanti del quartiere. Decine di migliaia di persone hanno perso la vita a causa di questo impianto siderurgico e altrettante decine di migliaia sono finite in ospedale, ricoverate».

«Se una morte non ha più peso dell’altra e se dal 2020 la salute è diventata la prima ragione di vita e di operato dei governi, chi non esigerebbe l’immediata chiusura di questo mostro camuffato da benefattore, la bonifica dell’area e un futuro che tenga davvero conto di chi vive e abita Tamburi? A parte qualche sterile tentativo di messa in sicurezza invece, le acciaierie di Taranto sono ancora in funzione. Dov’è, in questo caso, il Governo che mette al primo posto la salute? Come si può tollerare che questa fabbrica possa stare in piedi anche solo un minuto, il tempo di leggere queste righe?».

«Vi sembra che non c’entri nulla con il green pass? Per me tutto questo c’entra, eccome. Anche se qualcuno potrebbe bollare queste righe come qualunquiste, io il qualunquismo lo vedo nella quasi assoluta mancanza della benché minima logica nelle leggi che sono appena state approvate. Qualunquismo inteso come “sparare” sulla folla di chi, per un motivo o nell’altro, ha deciso di non vaccinarsi. Catalogare le persone con l’etichetta “no-vax”, come se la sensibilità di milioni di persone possa avere una sola matrice riconducibile a due parole. Il trionfo della fantascienza distopica. Andremmo avanti per ore a parlarne e non saremmo mai tutte e tutti d’accordo, lo comprendo benissimo. Ma trovo il green pass e il clima sociale a esso collegato distopici. E anche una delle più riuscite “armi di distrazioni di massa”: qualcuno sente parlare – in un’epoca in cui il cambiamento climatico minaccia di farci scomparire e in cui sono ancora aperti quegli inni alle atrocità e all’insalubrità chiamati allevamenti intensivi – di come vogliamo investire i soldi del famigerato PNRR? Da mesi è un argomento scomparso e nessuno o quasi lo sta cercando. Intanto ci “scanniamo” come ultras di due squadre calcistiche, perdiamo il contatto con il prossimo e scegliamo il confronto solo con chi la pensa come noi. Ci atrofizziamo e nel nome della vita a tutti i costi accettiamo passivamente una qualità della vita che lascia molto a desiderare. Come nel quartiere Tamburi, a Taranto. Molto bene. Anzi, no».

Taranto vista sullIlva dal Mare Piccolo 2 1
L’ILVA di Taranto (foto di KonstantinMaslak)

Susanna

«Vivo la mia quotidianità circondata da persone vaccinate e io stessa lo sono», racconta la nostra responsabile dell’area social Susanna Piccin. «La settimana scorsa ho potuto concedermi una cena con un’amica all’interno di un ristorante e ho riabbracciato quella stessa amica perché aveva finalmente preso un aereo da Berlino. Ma a parte questi lussi, la carta verde devo esibirla solo una volta al giorno, quando vado a prendere mia figlia all’asilo nido. Potrei quindi quasi dimenticarmene».

«Eppure il pensiero è lì, nel sottofondo della mia testa o molto in superficie: quando incrocio una manifestazione, quando vedo una discussione sui social, quando invito a teatro un’amica senza ricordarmi che lei no, non è vaccinata. E soprattutto quando mi confronto con quegli amici che stimo tanto e che hanno fatto la scelta, molto sofferta, di non vaccinarsi. Nemmeno la mia è stata a cuor leggero, i dubbi sono enormi dentro di me. Ho scelto di tutelare la riduzione dei rischi del contagio e li ho considerati più reali degli ipotetici effetti collaterali del vaccino. Ma ho fatto una scelta ed è questa, per me, la cosa fondamentale. Il valore di questa libertà, l’educazione al rispetto, la presenza di spazi tutelati per esprimere opinioni critiche: sempre e per sempre da questa parte mi troverai».

Andrea

Il “microfono” conclude il suo giro nelle mani di Andrea Degl’Innocenti, curatore della rubrica Io non mi rassegno: «Mi sembra che ci siano almeno due livelli distinti di dibattito legati al tema vaccini-green pass, che troppo spesso vengono confusi. C’è un primo livello che riguarda l’efficacia dei vaccini nel combattere la pandemia, la loro sicurezza e così via. Questo primo livello è prettamente medico-scientifico: contano i dati raccolti e gli studi effettuati, ben più delle nostre opinioni personali. Non è detto che i dati istituzionali siano al 100% accurati – non lo sono quasi mai – né è obbligatorio fidarsi ciecamente di essi, ma lo sono “fino a prova contraria”. Intendo dire che non è sufficiente un “secondo me non è così” per accedere a questo dibattito: dobbiamo scavare per trovare dati migliori, altri studi. Reali, credibili, non ideologici».

«Poi c’è un secondo livello, che invece è decisamente più politico, sociale, culturale, chiamatelo come vi pare. Esso ha a che fare con il delicato punto di equilibrio fra la libertà individuale e la sicurezza della comunità. Le società umane sono per definizione una rinuncia a un pezzettino di libertà individuale in cambio di protezione. Rinunciamo quotidianamente a fumare in locali chiusi, a passeggiare nudi per strada, a sfrecciare in macchina a 200 all’ora, a parte delle nostre ricchezze per garantire pensioni o cure a persone che non conosciamo. Trovare un equilibrio fra queste due spinte è una necessità insita nell’essere umano in quanto animale che ama vivere in gruppo. Società diverse trovano equilibri diversi. Le società occidentali sono per definizione più propense a privilegiare le libertà individuali, altre – pensiamo a quella cinese – curano più la società nel suo complesso del singolo individuo (anche se poi, quando si tratta di prendersi cura della comunità globale per problemi come la crisi ecologica, non sembrano esserci grosse differenze)».

«Ecco, questo secondo dibattito riguarda tutti e tutte noi, tira in ballo paure e convinzioni profonde e sarebbe bello che si svolgesse alla luce del sole. Ammettiamo che il vaccino garantisca una buona protezione alla società nel suo complesso, al prezzo di qualche reazione avversa, magari in alcuni casi anche grave o invalidante. Reazioni che magari si verificheranno in soggetti, o persino in fasce di popolazione, che avevano poche probabilità di contrarre il Covid in forme gravi. Ecco, chi decide se fare o meno il vaccino? Lasciamo a ciascuno la riflessione sui costi/benefici applicati al suo caso personale? Decide lo Stato per tutti, rendendolo obbligatorio? Di nuovo emergono forti i limiti della democrazia rappresentativa elettiva e l’assenza di luoghi e strumenti di decisione democratica che coinvolgano la società nel suo complesso. Luoghi sicuri in cui questo dibattito sia finalmente possibile, con tutto il suo carico di paure, incertezze, fragilità, irrazionalità che caratterizzano noi esseri umani. L’assenza di questi luoghi genera il green pass. Uno strumento pensato male, che diventa tremendamente ipocrita quando viene esteso ad aspetti centrali della vita degli esseri umani, come il lavoro, lo studio, l’accesso ad alcuni servizi fondamentali. Un obbligo mascherato da libera scelta, con tanto di gogna pubblica per chi lo rifiuta».

«Lo Stato decide di trattare, come d’altronde è accaduto quasi sempre durante questa pandemia, i propri cittadini come persone immature e poco consapevoli, che vanno convinte in maniera indiretta. E così facendo va a stimolare proprio la parte più immatura e poco consapevole dentro di noi e della nostra società. In cambio di qualche vaccino in più si diffondono diffidenza, teorie cospirazioniste, conflitto sociale, fino ad arrivare a gesti sconsiderati come l’assalto alla sede della CIGL. Ci sarebbero tante altre cose da dire, ad esempio sulla distribuzione dei vaccinati nelle diverse fasce di popolazione suddivise per reddito, che mostra come la disparità di opinioni sul vaccino non sia uniforme all’interno del corpo sociale (con le fasce più povere e marginali che hanno percentuali nettamente più basse) e rischi di creare un conflitto molto più profondo. Ma credo che il succo sia nelle considerazioni fatte sopra».

E ora dite la vostra!

Adesso la parola passa a voi. Qui non ci sono “no vax” e pro vax”, non si giudica l’interlocutore in base alla scelta che ha fatto, si ascoltano le sue ragioni e le si getta nel grande calderone che bolle sul fuoco. La ricetta non ce l’abbiamo, ma crediamo che l’abbondanza di ingredienti differenti sia un valore aggiunto, un ricchezza da valorizzare e non una minaccia da reprimere. Siamo consapevoli di essere una goccia nel mare, ma coviamo anche la dichiarata speranza di essere il sassolino che scatena la valanga. Siete pronte e pronti a rotolare?

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