NOTORIETÀ E SOFFERENZA: UN DUALISMO NON SEMPRE RAZIONALE

Sono pochi i casi in cui può essere utile divulgare pubblicamente la propria esperienza di paziente.

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

È di questi giorni la notizia ripetutamente pubblicata da più mass media di un notissimo rapper che ha informato il pubblico di essere affetto da una particolare malattia, e che sarà sottoposto ad un “impegnativo” percorso terapeutico. La ridondanza del personaggio, della sua famiglia e dell’evento che lo coinvolge, a mio avviso sta diventando esasperante e poiché è acclamato e osannato da milioni di fallower, tutte le attenzioni sono per lui… come se fosse il solo ad essersi ammalato e a meritare il loro sostegno morale. Ovviamente nulla da eccepire sul fatto in sé, giacché le malattie fanno parte del nostro destino; ma va rilevato che altri personaggi altrettanto noti lo hanno precedeuto nei decenni scorsi, e alcuni hanno avuto più o meno le stesse attenzioni dei mass media. Ora, mi chiedo: fino a che punto è giustificato dare tanto risalto ad un evento “funesto” che ha colpito un personaggio di una certa notorietà, mentre vi è scarsa o nessuna attenzione per il cosiddetto “vicino della porta accanto” o “uomo della strada” magari soli senza alcun conforto? Certo, di primo acchito il paragone non regge, ma analizzando bene il problema dal punto di vista umano ed etico, piuttosto che meramente sociale, mi sembra che si possa fare qualche osservazione.

Dal punto di vista psicologico credo che ambedue i casi meritino considerazione perché la psiche è una, sia pur diverse e distanti le rispettive realtà occupazionali e sociali, e magari anche famigliari; ma l’essere sconosciuti ai più da parte dei mass media denota indifferenza e abbandono che ne intensifica lo stato sofferenza in atto… anche se per taluni soggetti rientra in una libera scelta. E se anche si volesse giustificare il fatto che la notorietà suscita in ogni caso maggior interesse, ritengo sia doveroso dedicare un po’ di attenzione anche per l’emerito “sconosciuto” che vive e muore in strada nella quasi totale indifferenza generale. Ma come ben si sa, nell’ambito del giornalismo è noto il detto: «Non fa notizia un cane che morde un uomo, ma un uomo che morde un cane», e questa è la prima regola che viene insegnata in tutte le scuole di giornalismo del mondo. So bene di persistere nell’anticonformismo ideologico e pratico, ma nelle mie attenzioni prevale sempre l’aspetto umano prima di ogni altro. Tornando al rapper di turno, del quale non cito il nome anche se è facilmente intuibile da chiunque, oltre che dai suoi fallower, ne rilevo sofferenza ed apprensione ma al tempo stesso credo che sia più “nobile” spegnere qualche riflettore, sia per la sua tranquillità che per il rispetto che si deve a tanti altri che in questo stesso momento stanno soffrendo come lui. Quindi tutta la mia comprensione, non disgiunta da un augurio di pronta ripresa che, a mio modesto parere per certi versi, sarebbe più veloce se accompagnata da una più modesta ostentazione del proprio essere, e di conseguenza dal minor clamore mediatico. Un beneficio per l’intera collettività.

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